12 settembre 2018 - 22:21

Orbán, Salvini forza la linea del governo: «L’Italia dirà no alle sanzioni» | La condanna dell’Europarlamento

Si aggrava la spaccatura con il Movimento Cinque Stelle, che si è espresso in senso opposto

di Tommaso Labate

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«Per quanto ci riguarda, il governo italiano voterà contro le sanzioni a Orbán». Anzi, per essere più precisi, il fatto che l’Italia si esprimerà contro quelle procedure avviate ieri col voto del Parlamento europeo «per noi è scontato». Alle nove di sera, evidentemente dopo un giro di telefonate con Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, Matteo Salvini batte i pugni sul tavolo. Se non è l’innesco di una possibile crisi di governo, con ricadute tutte da valutare in campo internazionale, stavolta ci manca davvero poco. Per il vicepremier e ministro dell’Interno, per l’intera delegazione salviniana di governo, per tutto il gruppo parlamentare della Lega, per ora non esistono margini di trattativa.

Pazienza se il M5S s’era espresso in senso opposto, votando insieme al Pd e ai progressisti europei; pazienza per l’«amico Luigi», che sperava nel dossier ungherese per tenere a bada l’ala movimentista dei suoi; e pazienza pure per la prudenza del primo ministro, che ha provato a tenersi al di sopra delle parti. Su Orban, al momento, la Lega non tratta perché — a meno di colpi di scena — «non esistono subordinate».

Difficile dire se il professor Conte fosse preparato a un’eventualità del genere. Più probabile che, nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, sperassero che l’emiciclo di Bruxelles rispedisse al mittente il «dossier Sargentini» istruito contro il primo ministro ungherese, togliendo così dal fuoco l’ennesima vagonata di castagne che sta per piombare sulla maggioranza gialloverde. Invece no. Bruxelles recapita a Palazzo Chigi una potenziale crisi politica senza ricevuta di ritorno. Anzi quella ricevuta di ritorno, se c’è, per Salvini è un bel no. Per Di Maio il niet leghista è una doccia gelata. Certo, lui e l’altro vicepremier continuano ad avere buoni rapporti. Ma l’indiscutibile sintonia umana che si è instaurata tra i due non può, nell’ottica dei leghisti, passare sopra la politica.

Si tratta per tutta la giornata. La macchina della comunicazione dei Cinque Stelle prova a silenziare il dossier. Tolta la dichiarazione preventiva del presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Giuseppe Brescia — «Orbán mette a rischio i valori comuni per cui è giusto discutere delle sanzioni» — il resto è silenzio. Il tutto mentre i leghisti, da Salvini in giù, suonano la carica. La tensione è altissima. E il passare delle ore acuisce lo scontro tra pentastellati e leghisti ancora di più. Salvini affida ai suoi tutto il suo disappunto per il tweet con cui Alfonso Bonafede, nel solidarizzare col procuratore di Agrigento per le minacce ricevute, chiede «agli esponenti politici, almeno in questi casi, di evitare strumentalizzazioni». Tra i leghisti di governo, più d’uno lo scambia per un attacco al leader leghista. A Di Maio (e a Conte) tocca l’ennesima impossibile mediazione delle ultime settimane. Un ministro confessa: «Se ci dividiamo su queste cose, sulla legge di stabilità finisce con una guerra mondiale». Tra i grillini, c’è l’allarme rosso. «Visto che comunque al voto non si andrebbe, visto che abbiamo sempre la strada di una maggioranza col Pd, davvero a Salvini conviene aprire una crisi di governo su Orbán?», confessa un autorevole deputato M5S molto vicino a Di Maio. La risposta arriverà in serata. E assomiglia sempre di più a un sì. Conte sembra con le spalle al muro. Una via d’uscita, stavolta, non sarà facile da trovare.

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