21 settembre 2018 - 22:21

Libia, gli Usa tornano in gioco: l’idea di un corpo d’elite (con gli ex gheddafiani)

Mike Pompeo sta valutando di partecipare alla Conferenza organizzata dall’Italia nella seconda metà di novembre in Sicilia

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

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Gli americani tornano a occuparsi in maniera più concreta della Libia. Il segretario di Stato, Mike Pompeo, sta valutando la possibilità di partecipare alla Conferenza organizzata dall’Italia nella seconda metà di novembre in Sicilia, forse a Sciacca. Il ministero degli Esteri guidato da Enzo Moavero Milanesi e la diplomazia italiana a Washington sono in pressing da settimane con il dipartimento di Stato. L’invito ufficiale, però, non è ancora partito. E anche per questo i portavoce del dipartimento di Stato, interpellati dal Corriere, restano sul generico: «I contatti ci sono, ma in questo momento non abbiamo annunci ufficiali da fare».

Il vero problema è che l’agenda di Pompeo è esposta a troppe variabili, troppi imprevisti: la Corea del Nord, l’Iran, il contenzioso commerciale con la Cina e così via. Le priorità dell’amministrazione di Donald Trump cambiano da un giorno all’altro e così gli impegni di Pompeo. Ma a Washington si colgono segnali di una maggiore disponibilità per contribuire alla soluzione della crisi libica.

Gli Stati Uniti si stanno muovendo anche attraverso l’Unsmil, la «United nations support mission in Libya», l’organismo Onu che gestisce i rapporti con Tripoli. Il 2 luglio scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha offerto all’americana Stephanie Williams una posizione che non esisteva nell’organigramma: «vice rappresentante per gli affari politici in Libia». Formalmente Williams sarà una delle due vice di Ghassan Salamé, il capo di Unsmil. Ma nelle principali capitali, Roma compresa, la mossa è stata letta in modo chiaro: gli Usa vogliono entrare con più decisione nel dossier libico, vista anche l’evanescente azione del libanese Salamé.

Stephanie Williams viene dal dipartimento di Stato e ha speso 24 anni di carriera tra il Nord Africa e il Medio Oriente. Conosce bene la Libia, dove è stata «incaricata d’affari a Tripoli». La comunità diplomatica ha già notato un cambio di passo. Risulta che la nuova arrivata stia insistendo innanzitutto sul tema della sicurezza, portando nel Palazzo di Vetro le preoccupate analisi dei servizi segreti statunitensi: in Libia hanno trovato rifugio numerosi jihadisti fuggiti da Siria e Iraq. Il timore è che possano ricostituire una centrale per il terrorismo, anche internazionale. Williams propone di ricostituire un corpo militare scelto, da mettere al servizio delle autorità centrali libiche, arruolando anche le forze d’élite di Gheddafi, disperse negli anni tra le numerose fazioni armate che si contendono il controllo del Paese. L’idea è ancora allo studio e potrebbe essere esaminata nella Conferenza organizzata dall’Italia.

Il governo di Roma conta su una partecipazione più propositiva degli Stati Uniti. Ecco perché sarebbe importante avere Pompeo, che non andò invece al «vertice per la pace», convocato il 29 maggio a Parigi dal presidente francese Emmanuel Macron.

Ora, spiega al telefono il ministro Moavero, l’esecutivo italiano sta lavorando su una formula allargata: «Noi dialoghiamo con tutte le parti affidabili in Libia e in primis con il governo di al-Sarraj, riconosciuto come legittimo dall’Onu. La priorità è arrivare alla stabilizzazione e alla sicurezza del Paese. Il passaggio chiave di questo percorso sono le elezioni che si dovranno tenere quando ci saranno le garanzie necessarie. Ci può andare bene anche il 10 dicembre (scadenza concordata al vertice di Parigi e sostenuta da Macron. ndr) o un’altra data, purché siano riunite tutte le condizioni». E tra le «condizioni» c’è anche quella di un accordo favorito e appoggiato dalle potenze internazionali, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e, soprattutto, Stati Uniti.

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