4 febbraio 2019 - 10:20

Venezuela, Mattarella inquieto per le ambiguità del governo

Il Quirinale sorpreso dalla mancata consultazione del Parlamento e per la paralisi della politica estera: «In gioco la democrazia»

di Marzio Breda

Venezuela, Mattarella inquieto per le ambiguità del governo
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Ma con chi sta l’Italia? Ecco la domanda che si sono posti al Quirinale da quando la crisi venezuelana è esplosa e la nostra politica estera è andata in tilt. Siamo per il riconoscimento del presidente dell’Assemblea nazionale di Caracas, autoproclamatosi capo dello Stato, Guaidó? O affianchiamo il chavista Maduro? Indecisi a tutto i due partiti di governo non sono riusciti a esprimere una linea comune, creando un caso diplomatico. Perché l’esecutivo, rifiutando di aderire anche alla dichiarazione a 28 della Ue per spingere il Paese latino-americano verso elezioni democratiche al più presto, ha alzato il velo sulla paralisi della politica estera italiana.

La decisione d’intervenire di Sergio Mattarella, è nata da quest’impasse. Che per lui è ben peggio di una deliberata equidistanza. Sul dossier Venezuela, che vede tra l’altro coinvolta una folta comunità di connazionali, il presidente ha pensato per giorni, e detto ieri: «Non ci può essere né incertezza né esitazione nella scelta tra la volontà popolare e la richiesta di autentica democrazia da un lato e dall’altro la violenza della forza». Parole pesate ed esplicite. Un richiamo che non avrebbe pronunciato se il governo gialloverde avesse convocato un dibattito in Parlamento e là fosse stata appunto definita una linea, quale che fosse. L’Italia, infatti, non può cambiare la propria collocazione internazionale senza che neppure si siano confrontate in Aula tutte le forze politiche.

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Conte e i suoi «azionisti» avrebbero potuto far approvare (i numeri li hanno) una mozione in cui si dichiarava l’appoggio a Maduro. Non ci sarebbe stato problema, per il Colle, anche se non avrebbe condiviso la scelta. Il frutto di questa «discordante concordia», invece, rende palese che non stiamo né con gli Usa né con il Brasile né con tanti altri Paesi, compresi quelli più importanti della Ue. Non stiamo con nessuno. Risultato che inquieta il capo dello Stato in quanto rispecchia le fratture di una maggioranza che ci sta purtroppo abituando a continue inversioni delle alleanze nell’atlante geopolitico mondiale.

Gli esempi si sprecano. Fino a poco tempo fa c’erano da un lato i 5 Stelle, che corteggiavano l’amministrazione americana, e dall’altro la Lega di Salvini, schierata con Putin. Ora il putiniano di casa nostra si è spostato su Trump e gli altri sono di fatto con la Cina, l’Iran e la Russia. Se si fa poi un raffronto tra le dichiarazioni di politica estera espresse dai due vicepremier nei primi 8-9 mesi di governo, non si capisce nulla. Tanto più che fanno il contrario di ciò che dicono e, ammettendo di non essere in grado di decidere e così auto isolandosi, adesso hanno appunto imposto il tema della paralisi. Di fronte alla quale Mattarella, pur nel rispetto di Parlamento e governo, si è sentito in dovere di intervenire — legittimato dagli articoli 11 e 87 della Costituzione — non potendo accettare che sul caos venezuelano nasca un caos italiano. Insomma, bisogna dire con chi stiamo (sottinteso: dobbiamo stare con i Paesi democratici).

Non basta. Un memorandum con implicite allusioni il capo dello Stato l’ha rivolto pure alla Ue sui migranti. L’accordo siglato a Quito dalle nazioni dell’America Latina per accogliere, dividendoseli, i due milioni di profughi venezuelani è la prova che il fenomeno può e deve esser governato da tutti. Insieme. Come prevedeva il global compact sull’immigrazione su cui il premier Conte aveva garantito un impegno dell’Italia poi congelato.

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