13 febbraio 2019 - 13:30

Spagna, Sánchez sconfitto in Aula sulla Finanziaria: è crisi di governo

Una crisi annunciata: con l'inizio del processo agli indipendentisti il premier socialista ha perso i voti dei separatisti catalani. Lo scenario delle elezioni anticipate

di Monica Ricci Sargentini

Spagna, Sánchez sconfitto in Aula sulla Finanziaria: è crisi di governo
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È crisi di governo in Spagna dopo che il parlamento di Madrid ha bocciato la legge di bilancio proposta dal governo. Una sconfitta annunciata per il premier socialista Pedro Sanchez, che all'indomani dell'inizio del «processo del secolo» al separatismo catalano ha perso in aula l'appoggio fondamentale degli indipendentisti e si è presentato senza i voti necessari per far approvare l'impianto generale della Finanziaria 2019 .

Elezioni anticipate?

Ora, a soltanto 8 mesi dall'insediamento dell'esecutivo a guida socialista, si apre lo scenario delle elezioni anticipate. In teoria il premier potrebbe restare al governo con l’esercizio finanziario provvisorio fino alla scadenza della legislatura nel 2020 ma, secondo indiscrezioni riferite dalla Reuters, si parla già di un voto il 14 o il 18 aprile. Per la legge spagnola Sanchez è il solo a poter sciogliere le Camere. Ieri il premier ha lasciato il Congresso senza fare dichiarazioni. Secondo fonti della Moncloa, è atteso un annuncio alla fine del consiglio dei ministri venerdì prossimo.

Il dalogo fallito

Sanchez aveva cercato di trovare una via d’uscita compiendo dei gesti simbolici come l’avvicinamento dei detenuti a casa e alcuni investimenti pubblici e aprendo un tavolo di dialogo sul separatismo in cui ha persino accettato anche la presenza di un «relatore», una figura terza com’è quella dell’inviato dell’Onu in una guerra civile. Un’idea che ha mandato la destra su tutte le furie perché metterebbe sullo stesso piano uno Stato legittimo come la Spagna sullo stesso piano dei ribelli secessionisti. Domenica scorsa un grande corteo ha unito le opposizioni (dal centro all’estrema destra neofranchista) nella richiesta di fermare il dialogo. Non ce n’era bisogno visto che sono stati gli stessi catalani a bloccare la trattativa. All’ordine del giorno avrebbero voluto il «diritto all’autodeterminazione» di Barcellona. Una precondizione impossibile da digerire anche all’interno dello stesso partito di Sánchez.

Il processo al separatismo

Il dialogo tra Madrid e Barcellona è tornato così solo quello tra giudici dell’accusa e avvocati della difesa nel processo che si svolge davanti al Tribunale Supremo di Madrid dove 12 politici catalani sono accusati di aver organizzato nell’ottobre 2017 un referendum separatista illegale e poi una ancora più illegittima dichiarazione unilaterale d’indipendenza. Alcuni sono in carcerazione preventiva e rischiano decine di anni di carcere. Tra i testimoni eccellenti ci sarà anche l’ex premier Mariano Rajoy. Il Tribunale Supremo lavorerà da lunedì a venerdì per chiudere al più presto questa fonte di instabilità. Ma si prevedono almeno tre mesi di dibattimento nei quali le testimonianze dei politici incarcerati e di quelli che hanno bloccato il loro progetto separatista divideranno ancora di più il Paese.

Gli scenari

Già ieri l'opposizione attaccava il premier pregustando la sua sconfitta parlamentare. Sanchez aveva twittato: «Le destre e gli indipendentisti vogliono la stessa cosa: una Spagna divisa e una Catalogna divisa». Le ultime elezioni legislative - due in soli 6 mesi - si sono tenute alla fine del 2015 e nell’estate 2016, ma c’è voluto un altro anno e mezzo prima che Sanchez, 46 anni, riuscisse a scacciare dalla Moncloa il popolare Mariano Rajoy con un voto di sfiducia, grazie anche al patto con gli indipendentisti. Stando agli ultimi sondaggi, però, le nuove elezioni potrebbero lanciare il partito dell’ultradestra Vox che potrebbe arrivare fino al 13% dei consensi: sarebbe la prima volta dalla fine del regime di Francisco Franco.

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