2 gennaio 2019 - 21:14

L’ex marine arrestato a Mosca e il gioco di spie (senza ideali)

L’americano Whelan, arrestato a Mosca, potrebbe venir scambiato con la russa Butina Versione grigia delle trame da Guerra fredda

di Matteo Persivale

Paul Whelan Paul Whelan
shadow

John le Carré, il maestro assoluto della spy story, non avrebbe immaginato una vicenda simile — neanche nei suoi libri meno belli — per un motivo evidente: c’è sempre nei suoi personaggi, anche in quelli minori, la scintilla della grandezza. Ecco perché non è all’altezza dei romanzi di Le Carré l’arresto in Russia dell’americano Paul Whelan, 48 anni, originario del Michigan, ex poliziotto e direttore della sicurezza di una ditta di parti per automobili. Whelan sarebbe stato arrestato in flagranza di spionaggio secondo i russi che però non hanno presentato nessun elemento a supporto dell’accusa. E a questo punto conta poco credere alla versione americana — Whelan è uno di passaggio, a Mosca voleva semplicemente andare a un matrimonio — o a quella russa: la certezza è che si delinea uno «scenario alla Checkpoint Charlie», cioè uno scambio di spie (o presunte tali) come ai bei tempi della Guerra fredda. Ricordiamo il film Il ponte delle spie di Spielberg con Tom Hanks e sceneggiatura dei fratelli Coen, che tre anni fa trionfò agli Oscar: è ispirato a una storia vera, lo scambio nel 1962, a Berlino, tra il pilota americano Francis Gary Powers abbattuto sui cieli sovietici nel 1960 e la spia sovietica infiltrata in America Rudolf Abel (con il «bonus» del rilascio di uno studente americano prigioniero nel settore orientale, rilascio avvenuto appunto al Checkpoint Charlie).

La cattura di Whelan rende più probabile il tentativo di uno scambio di prigionieri tra Washington e Mosca 57 anni dopo quello di Powers e Abel. Con chi potrebbe essere scambiato Whelan? Nel luglio dell’anno scorso l’Fbi ha arrestato la russa Maria Butina, 30 anni, che ha confessato di essere un’agente e che aveva raccolto amicizie importanti nel partito repubblicano e nella lobby delle armi, la Nra. L’avvocato di Butina ha patteggiato due mesi fa, e la permanenza massima in carcere della sua cliente sarà di cinque anni (il giudice non si è ancora pronunciato) dopo i quali sarà espulsa e rimpatriata. Whelan offre la possibilità di abbreviare la permanenza negli Stati Uniti di Butina che, peraltro, potrebbe essere una figura di non secondaria importanza nell’indagine di Robert Mueller, procuratore speciale, sui rapporti tra Trump e la Russia.

Gli scambi di prigionieri avvengono anche in tempi post-guerra fredda, basta pensare al 2010, quando a Vienna i russi liberarono quattro spie (tra cui uno scienziato del programma atomico russo che passava informazioni alla Cia) e gli americani dieci spie. Però il caso del 2010 era più chiaro, quello attuale potrebbe per Whelan essere una specie di remake di Spie come noi, buffa commedia anni ’80 con Dan Aykroyd e Chevy Chase agenti improvvisati, e sull’autentico ruolo di Butina è difficile dare un giudizio semplicemente perché dall’ufficio di Robert Mueller non è mai uscita, in quasi due anni, la minima fuga di notizie (a noi italiani fa impressione ma può succedere). Magari è semplicemente, come dice chi la difende, una ragazza che ha contattato uomini potenti di un Paese straniero per promuovere anche in Russia la lobby delle armi. O forse c’è qualcosa che ancora Robert Mueller non ha scoperto, o ha scelto di non rivelare per ora.

Spy story o tragicommedia che sia, la vicenda Whelan non è esattamente una commedia che fa ridere e basta, anche nell’ipotesi più innocente: basta ricordare che tra gli agenti dello scambio di prigionieri del 2010 c’era un nome diventato poi famoso nel mondo. Quello di Sergei Skripal: agente russo del Gru che faceva il doppio gioco e venne sì rilasciato dall’amico Vladimir, ma che a marzo 2018 è finito avvelenato in Inghilterra da una dose mortale di Novichok — ed è sopravvissuto per caso.

Sono giochi sporchi, quelli delle spy story, che hanno perso (per tornare al maestro) secondo Le Carré l’unica cosa che li rendeva moralmente difendibili: gli ideali. Nel 2010, alla vigilia dello scambio di Vienna, le Carré ha scritto sul Guardian un breve commento che rappresenta una delle pagine più belle, e più amare, della sua luminosa vecchiaia: «Quale grande causa credevano di servire, questi martiri virtuali che stanno per essere rimandati a casa, coperti di vergogna, tra le braccia di Madre Russia? Erano i fantasmi del passato della Russia a sussurrare nelle loro orecchie, o i fantasmi del suo futuro? La vecchia Russia fremente che sogna la resurrezione di Stalin o degli zar del Sacro Impero Russo? O era il per niente sacro Celeste Impero che galleggia sul Cremlino dei cleptocrati di Vladimir Putin?». No, concludeva l’autore de La talpa e de La Casa Russia: «Qual è la scelta tra la Madre Russia e la Madre America, due enormi continenti fuori controllo, che affogano insieme nelle acque sporche di petrolio del capitalismo?».
Sarebbe bello chiederlo a Butina prima di rispedirla a Mosca, con duemila euro al mese di stipendio e modesto appartamento gentilmente offerto dal Gru, la piccola baby-pensione per le spie-travet senza ideali che riescono in qualche modo a tornare a casa.

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