7 gennaio 2019 - 18:28

Trump e il ritiro dalla Siria: le due condizioni poste dai suoi consiglieri

Il “tutti a casa” sarà più graduale: l’Isis non è ancora del tutto sconfitto e sui curdi incombe la minaccia turca. Ma la Turchia ha promesso di proteggere i combattenti curdi

di Guido Olimpio

Trump e il ritiro dalla Siria: le due condizioni poste dai suoi consiglieri
shadow

Nulla è definitivo nella crisi siriana. Non potrebbe essere diverso visto i mutamenti di posizione repentini, le manovre, i tanti attori. Nelle ultime ore gli Usa hanno ricalibrato l’agenda per l’eventuale ritiro delle truppe mentre HTS, coalizione di ispirazione qaedista, ha dato una grande spallata nel nord. E il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha riferito che la Turchia ha promesso di continuare la campagna contro l’Isis dopo il ritiro delle truppe Usa dalla Siria e di proteggere i combattenti curdi (alleati degli americani), che temevamo un’offensiva di Ankara.

Rientro prudente

Donald Trump aveva intimato un rientro entro 30 giorni dei circa 2 mila soldati impegnati nella parte orientale e nel sud della Siria. Poi ha deciso di concedere più tempo al Pentagono orfano del suo stratega, Jim Mattis, costretto alle dimissioni perché contrario a questa politica: allora - è stato detto - il contingente tornerà a casa entro 120 giorni. Infine una nuova precisazione. Il presidente ha dichiarato di voler un rientro cauto e prudente, ma ha ribadito che il “tutti a casa” è confermato. La puntualizzazione è coincisa con la missione nella regione del suo consigliere, John Bolton, che ha visitato Israele e sarà poi in Turchia. L’alto esponente statunitense è noto come “interventista”, specie in chiave anti-Iran, e raccoglie gli umori dell’establishment che non condivide la “visione” della Casa Bianca.

Le due condizioni

Proprio Bolton ha spiegato che i soldati americani faranno i bagagli solo dopo la sconfitta totale dell’Isis e se la Turchia garantirà che non lancerà l’offensiva contro i curdi siriani dell’YPG, alleati fondamentali dell’Occidente nella guerra al Califfato. Quindi ha aggiunto che nuclei di militari potrebbero restare nella base di al Tanf, nella zona sud della Siria. Un avamposto creato pensando ad un contrasto dell’azione iraniana. E, in futuro, come è stato sottolineato dalla stessa amministrazione potrebbero esserci azioni di forze speciali Usa a partire dall’Iraq. Questi sono i desideri del Pentagono che però si scontrano con la volontà di Trump, deciso a disimpegnarsi lasciando che siano Turchia, Russia e Iran a occuparsi del “calderone”. Non è contento neppure Israele, che teme di restare isolato. In questo vuoto si è ipotizzato anche un rilancio della vecchia idea di The Donald: mandare nella zona curda reparti forniti da paesi musulmani amici (Emirati, Marocco, Egitto…). Un piano che dovrebbe legarsi ad un programma di ricostruzione per villaggi e città devastate dal conflitto. Ma l’opzione B pare più un auspicio (forse un sogno) oppure è solo un tentativo di sondare il terreno in vista di future sistemazioni. Necessarie. Anche perché lo Stato Islamico, per quanto in ritirata, continua a colpire con la tattica della guerriglia/terrorismo. Lunedì un attacco suicida ha causato molte vittime a Raqqa.

I ribelli

Interessante, intanto, la manovra a sorpresa condotta dal movimento Hayat Tahrir Al Sham. Ben organizzato, con un buon arsenale, ha conquistato posizioni che erano tenute da guerriglieri filo-turchi a ovest di Aleppo e fin verso il confine con la Turchia. Notevole il bottino di guerra strappato agli avversari. La fazione, che sul piano formale si è distanziata dalla casa madre qaedista, cerca di incamerare chilometri quadrati di territorio e località per diventare l’interlocutore principale nel caso di trattative.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT