9 marzo 2019 - 20:08

Xi Jinping in missione a Roma con 70 capi di industria. E una mappa di 4 Paesi

Il leader cinese arriverebbe il 21 marzo con un «memorandum d’intesa». Piano di collaborazione sulla Via della Seta, dall’energia ai treni

di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino

Xi Jinping in missione a Roma con 70 capi di industria. E una mappa di 4 Paesi
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Un «Memorandum d’intesa» tra Cina e Italia può voler dire molto dal punto di vista politico, ma poi va riempito di progetti operativi. Il Corriere della Sera ha raccolto anticipazioni sul contenuto concreto della missione di Xi Jinping in Italia. E nelle aspettative di Pechino c’è molto di più di una celebrazione degli antichi fasti della Via della Seta, di Marco Polo e di Venezia. Anche più degli investimenti possibili nel porto di Trieste. Sulla mappa della «Belt and Road» sono segnati i primi Paesi dove lavorare insieme.

Un caso, quello della firma italiana di adesione alla Via della Seta di Xi Jinping, che ha aperto una polemica da parte americana («potrebbe danneggiare la reputazione italiana nel lungo periodo», secondo il Consiglio per la Sicurezza nazionale della Casa Banca). Al momento, di certo c’è solo che il presidente cinese viene a Roma in visita di Stato, tra il 21 e il 23 marzo, e che potrebbe fare una tappa «turistica» a Palermo. Xi viaggia molto, ma mai per puro cerimoniale, guarda sempre all’interesse nazionale e riparte dopo la firma di accordi industriali e commerciali.

Il piano oltre il memorandum è molto interessante per il Sistema Italia, se si analizzano i nomi del seguito industriale di Xi. Se si considera che Pechino sta cercando di cambiare drasticamente il modello finanziario e di sostenibilità della «Belt and Road Initiative», l’etichetta internazionale della Nuova Via della Seta. Se andranno a buon fine le proposte cinesi di collaborazione concreta e joint venture in quattro Paesi già individuati: Egitto, Azerbaijan, Kazakhstan e Georgia.

Nell’elenco provvisorio dei membri «non politici» della delegazione ci sono una settantina di leader industriali. Si tratta di dirigenti esecutivi, non di pura facciata, gente che guida aziende potenti nell’universo delle imprese statali: China Communications Construction Company che con una galassia di sussidiarie disegna e costruisce infrastrutture, dai porti alle strade, dai ponti alle ferrovie: 116 mila dipendenti che hanno lavorato ultimamente in Etiopia, Sudan e Pakistan. Il gruppo sarà rappresentato a Roma dal presidente Song Hailiang e dal vice esecutivo Wang Jingchun.

La lista prosegue con Lao Jun, executive president di China Railway Construction, che gestisce l’alta velocità Pechino-Shanghai. Power Construction, contractor idroelettrico, con Li Yanming. China Gezhouba Engineering, che lavora nel settore della costruzione e gestione di centrali idroelettriche. E ancora, Dongfang Electric con il presidente Zou Lei. Citic Construction, il braccio ingegneristico del gigante degli investimenti statali Citic.

Molto interessante, forse il cervello di tutto, la delegazione di Sinosure, la più corposa, con il presidente Song Shuguang e cinque alti dirigenti.

Nella «mission» di Sinosure (China Export and Credit Insurance Corporation), al primo posto c’è il sostegno alla «Belt and Road Initiative». L’istituzione finanziaria ha assicurato investimenti per circa 510 miliardi di dollari, che coprono 1.300 progetti della Via della Seta nei campi dell’energia, trasporti, impianti petroliferi, telecomunicazioni, linee marittime. Di fatto Sinosure è stata una cassaforte del progetto di Xi.

Però, Sinosure ha un problema a Pechino: ultimamente le è stata contestata «avidità» nella gestione quasi monopolistica del finanziamento all’impresa. I suoi dirigenti infatti si sono preoccupati per i rischi dei progetti non andati a buon fine in diversi Paesi asiatici, invocano la presenza di partner internazionali importanti e affidabili. Ne è nata una polemica interna: si litiga anche nel potere mandarino.

I pianificatori del Partito-Stato, in questa fase di rallentamento della loro economia, vogliono cambiare modello finanziario e di sostenibilità, anche sociale, della grande espansione geopolitica che corre (al momento cammina e a volte incespica) lungo la Nuova Via della Seta. I dirigenti di Sinosure vengono a Roma per «apprendere come si trovano finanziamenti internazionali credibili e sostenibili», dice al Corriere una fonte al corrente dei progetti.

Avere a bordo un Paese del G7 come l’Italia, i cui gruppi industriali hanno know-how nelle infrastrutture e sono storicamente capaci di lavorare in Paesi «caldi» e instabili, potrebbe aprire ai cinesi nuove linee di credito internazionale, trasparenti. Roma, aderendo, potrebbe garantire standard occidentali, evitando i timori della «trappola del debito» denunciati in molti Paesi asiatici dove si sono impegnati i cinesi.

In cambio, all’Italia verrebbe offerto un ritorno importante. La collaborazione in Egitto, Azerbaijan, Kazakhstan e Georgia, nella visione di Pechino ha validi motivi economici e geopolitici. Persa la Libia, con l’Algeria scossa dal lungo addio di un presidente malato, l’Egitto è ancora più strategico per la stabilità del Mediterraneo, nell’interesse di Roma ma anche dell’Europa. Mentre Pechino pensa forse di sottrarre Kazakhstan e Georgia a influenza (e bullismo nel caso di Tbilisi) di Vladimir Putin.

A Roma, in attesa di Xi Jinping si litiga sulla Tav. Come la vedono a Pechino? Qualche sorriso compiaciuto sul caos del modello occidentale. «Ma si spera che la grande occasione della Via della Seta non vada perduta, nel nostro e nel vostro interesse».

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