Se l’Italia apre alla Cina
è anche colpa degli Usa

risponde Aldo Cazzullo

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Caro Aldo,
periodicamente si conferma come la capacità di analisi dei centri direttivi della politica estera italiana non sappia andare oltre meri calcoli da bottegai. Come ci ricordano i nostri alleati europei e americani, l’Italia vuole fare affari con la Cina, sorvolando sul fatto che questa minaccia i nostri valori. L’Italia vuole entrare in strette relazioni con una potenza a cui si dà la sensazione che tutto le è permesso, e che cioè, in nome del business, non le sarà chiesto in cambio nulla, come ad esempio rispettare il diritto internazionale, commerciale e non (vedi i diritti umani e la salvaguardia dell’ambiente).
Era già accaduta la stessa cosa con la Russia. I russofili nostrani hanno fatto passare il concetto che a Putin non si debba rimproverare nulla perché sarebbe messo in pericolo l’interscambio commerciale ed economico con la Russia. E così è passato sotto silenzio, anzi si è giustificato, il fatto che la Russia, in Crimea e Donbass, abbia dato il più grosso colpo al diritto internazionale e allo status quo europeo dalla Seconda guerra mondiale a oggi. Vogliamo ricordare poi il nostro modo di comportarci con la Libia di Gheddafi? In nome del petrolio e degli affari, si è incensato uno dei più malfamati dittatori che l’Africa abbia avuto. Qualcuno riuscirà, prima o poi, a far passare in Italia il concetto che la politica estera non è solo business?
Gian Paolo Ferraioli, Roma

Caro Gian Paolo,
Lei pone molte questioni. Mi limito alla principale. Restare agganciati alla Via della Seta per l’Italia è un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, badando ovviamente a evitare accordi neocoloniali. Gli americani hanno poco da lamentarsi. Con l’isolazionismo dichiarato di Trump, con la politica dei dazi, con la critica al libero commercio globale, hanno aperto uno spazio che inevitabilmente qualcun altro — a cominciare dalla nuova superpotenza, appunto la Cina — è destinato a riempire. Diverso è il discorso dell’Intelligence.
Se l’Europa affiderà lo sviluppo delle proprie telecomunicazioni alla Cina, si troverà inevitabilmente a condividere i propri dati — e i propri segreti — con una potenza totalitaria. Ma, anche qui, i nostri alleati americani con il grande orecchio di Echelon non hanno dimostrato grande rispetto per l’Europa. Questo non significa rinunciare ai tradizionali rapporti con gli Usa; ma un Paese che ha rispetto di sé si fa rispettare, da qualsiasi interlocutore.

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L'addio

«Auguri caro papà, sarà la prima festa senza di te»

Questa sarà la prima festa del papà senza mio padre. A dicembre se n’è andato, a soli 69 anni. Scrivo per aprire gli occhi su una malattia che sembra invisibile ma c’è: la sclerosi multipla. A 50 anni ha iniziato il calvario identificato con questo male che si porta via piano chi hai accanto. Ricordo il suo urlo dopo la «sentenza» dell’ospedale: «È finita!» con attorno parenti e amici. Ma non è un tumore: il tempo passa, e quel male diventa parte della quotidianità. Lo riconosci dall’evolversi delle difficoltà motorie: dal bastone alla sedia a rotelle. La gente attorno a noi sparì: eravamo soli. Era solo. Intanto noi figli ci eravamo abituati all’idea che lui ci fosse, acciaccato ma intelligentissimo.
La società è «cieca», il condominio «in primis»: non volle allargare l’ascensore e prendere un montascale con una spesa minima grazie a dei fondi, destinandolo alla prigionia. Se non hai quel male addosso, non capisci. Il 5 dicembre scorso ha iniziato a star male. Sembrava influenza per il medico, ma dopo tre giorni se n’è andato. È morto in casa, tutto sommato felice (aveva paura di morire in ospedale). Scrivo per far conoscere davvero questa malattia. Urge far cadere le barriere architettoniche che hanno «imprigionato» papà negli ultimi 20 anni e che i dottori siano più preparati. Quest’anno non potrò dire di persona «auguri» al mio papà: lo faccio da queste pagine, che amava.
Francesca Salvatore

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