8 dicembre 2018 - 20:23

Vivere da cristiani nel mondo musulmano

Una scelta ribadita ieri a Orano con la solenne beatificazione di diciannove religiosi uccisi dal terrorismo islamico in Algeria tra il 1994 e il 1996

di Andrea Riccardi

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Vivere da cristiani nel mondo musulmano
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È possibile per le minoranze non musulmane vivere nei paesi a maggioranza islamica? La Chiesa ha scelto di continuare a esserci, ma la sua vita è segnata da forti difficoltà. Ieri, a Orano, con la solenne beatificazione di diciannove cristiani uccisi in Algeria tra il 1994 e il 1996, è stato messo l’accento sulla scelta di continuare la presenza in ambiente musulmano pur a rischio della vita.

In Algeria, alla fine del dominio francese nel 1962, c’erano 900.000 cattolici, per lo più francesi. Quasi tutti partirono all’indipendenza, spesso sotto forte pressione. Era la terribile alternativa espressa dallo slogan: «La valise ou le cercueil» («la valigia o la bara»). La Chiesa cattolica, guidata dal cardinale Duval (francese, divenuto cittadino algerino), scelse di restare in condizione minoritaria e precaria. La situazione si fece dura negli anni Novanta con l’avanzata dell’islamismo. In questo periodo, diciannove religiosi furono uccisi. Tra loro, Pierre Claverie (nato in una famiglia francese in Algeria da cinque generazioni), vescovo di Orano dal 1981, convinto della necessità di dialogare: fu ucciso da una bomba mentre tornava a casa con l’autista musulmano. Il fatto è considerato simbolico di come cristiani e musulmani siano stati colpiti insieme in quegli anni.

Le piccolissime comunità cristiane, restate in Algeria, furono attaccate allo scoppio del sanguinoso confronto — circa 200.000 morti — con l’islamismo radicale e il terrorismo. I religiosi vivevano in mezzo alla gente. Nella distorta visione islamista, rappresentavano il nemico: il cristianesimo e la Francia. In questo clima, alcune suore furono assassinate per strada nei quartieri popolari. Quattro Padri Bianchi, che vivevano in Kabilia, furono uccisi, forse come ritorsione islamista contro l’intervento della gendarmeria francese per liberare un aereo sequestrato dai terroristi. Il messaggio era chiaro: i cristiani non potevano più stare in terra musulmana. Il governo francese invitò i suoi cittadini a lasciare l’Algeria.

Tra chi restò, c’erano i trappisti del monastero di Notre Dame de l’Atlas, vicino alla città di Médea, tutta musulmana. I monaci, guidati da frère Christian de Chergé, avevano intessuto rapporti di amicizia e dialogo in ambiente musulmano ed erano stimati dalla popolazione che, tra l’altro, si serviva dell’assistenza di uno di loro, un medico, frère Luc. Il film di successo in Francia, «Uomini di Dio», ha narrato il loro travaglio di fronte alle minacce, che si concluse con la scelta di non lasciare l’Algeria. Per frère Christian l’islamismo era una caricatura dell’islam — lo scrisse nel testamento — mentre bisognava sostenere gli algerini nella resistenza all’estremismo.

La storia del rapimento dei sette monaci di Notre Dame è complessa, se non oscura. L’estremismo islamico si era trasformato nel Gia. Gente facente capo a questo movimento rapì i monaci nella notte tra il 26 e il 27 aprile 1996 e li uccise il 21 maggio dello stesso anno. Il tentativo dei terroristi di ottenere lo scambio con alcuni prigionieri in Francia s’incrociò con altre operazioni mai chiarite. Secondo alcune rivelazioni, l’esercito o i servizi avrebbero infiltrato l’operazione nel quadro di una strategia della tensione, in cui si inserirebbe anche l’assassinio del vescovo Claverie, i cui contorni restano poco chiari. Dei sette monaci furono trovate solo le teste.

La Chiesa cattolica, in un paese ostaggio del terrorismo islamista ma anche nelle mani di un potere militare che utilizzava ogni mezzo nella lotta, ha rischiato di essere travolta dalla violenza islamista e ha vissuto alcuni passaggi oscuri. Nel 1996, dopo il ritrovamento dei resti dei monaci, furono celebrati insieme i loro funerali e quelli del cardinale Duval, deceduto in quei giorni, anziano e colpito a morte da quella crisi. Sembrava la fine della presenza cristiana sotto i colpi della guerra civile.

Dopo poco più di vent’anni, la beatificazione dei diciannove martiri algerini, voluta da papa Francesco, acquista un significato particolare anche per la crisi di tanti paesi musulmani: il cristianesimo intende continuare a vivere in queste terre, disarmato e aperto all’incontro. Frère Christian aveva intuito le obiezioni e le critiche a questa scelta, quando scriveva nel suo toccante testamento: «La mia morte, evidentemente, sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno trattato da naïf o da idealista...». Ribadiva così il valore del vivere da cristiani nel mondo musulmano, nonostante tutto.

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