27 aprile 2019 - 22:30

Gli spazi da coprire in Europa

Il rafforzamento politico del presidente francese dopo le europee sarebbe una risorsa preziosa per smuovere le acque di Bruxelles. E per l’Italia aprirebbe spazi enormi. L’esperienza francese dovrebbe essere studiata a fondo anche dalla nostra opposizione

di Maurizio Ferrera

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Illustrazione di Fabio Sironi
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Da quando Salvini e Di Maio sono arrivati al governo, la Francia è diventata un bersaglio polemico: se ne parla solo per criticare. È un grosso errore. Nel Paese transalpino sono infatti in corso dinamiche sociali e politiche che hanno rilevanza per tutta l’Europa e per l’Italia in particolare. La società francese è oggi un grande palcoscenico che ogni giorno dà spazio alla rappresentazione del disagio e malcontento dei cittadini. Alla radice stanno i rivolgimenti legati all’apertura economica, all’immigrazione, alla recessione, all’austerità. Protestano i sovranisti, i «declassati» (chi si ritrova con lavori peggiori di un tempo), i militanti della sinistra e soprattutto i gilets jaunes, comprese le loro frange violente, i casseurs. Al palcoscenico sociale fa da contraltare un inedito cantiere politico. Lo scorso gennaio Macron ha avviato un grand debat nazionale sui temi più scottanti: giustizia sociale, lavoro, amministrazione e servizi pubblici, ambiente. Fra incontri, assemblee, consultazioni online la discussione ha coinvolto quasi due milioni di persone. Giovedì scorso, Macron ha tirato le fila in un discorso televisivo, formulando varie proposte (illustrate da Stefano Montefiori sul Corriere di venerdì). Nei sondaggi, la maggioranza dei francesi si è detta «non convinta». Ma sulle proposte specifiche, prese una per una, l’apprezzamento è stato sorprendentemente elevato. I giochi per le elezioni europee per ora restano aperti, En Marche potrebbe ancora vincere il testa a testa con il Fronte Nazionale. Naturalmente è troppo presto per parlare di «successo». Molto dipenderà dai tempi e dai dettagli dei vari provvedimenti, nonché dalla congiuntura economica. La protesta dei gilets jaunes non si fermerà subito. L’opinione pubblica sembra però ormai stufa di disordini e violenze, è probabile che il movimento si affievolisca gradualmente.

La ri-stabilizzazione della società francese, il rafforzamento di Macron e, soprattutto, l’avvio di una «fase due» di efficaci riforme sociali ed economiche sarebbe una buona notizia per tutta l’Europa, per almeno due motivi. Innanzitutto, si dimostrerebbe che è possibile rispondere alla crisi sociale e alla mobilitazione dei suoi tanti «perdenti» senza ribellarsi alla Ue e rincorrere il populismo. La strategia di Macron è stata un misto di rassicurazioni protettive ed esortazioni al cambiamento, coinvolgimento dei cittadini e contributo degli esperti. Una strategia basata sul binomio «ragione e sentimento» (siamo gli eredi dell’Illuminismo, ha ricordato il Presidente). Comunque lo si voglia valutare, si tratta di un percorso inedito, non solo per la Francia.

Anche sul piano dei contenuti la strategia ha delle caratteristiche distintive, che possono fornire spunti. Alle tradizionali riforme strutturali raccomandate dalla Ue, il piano di Macron prevede non solo alcune esplicite «linee rosse» (come «niente più tagli ai servizi pubblici»), ma anche una lotta alla madre di tutte le diseguaglianze: l’origine sociale. Il destino di ogni francese, ha detto il presidente, dipende dai primi mille giorni della loro vita. Chi nasce in una famiglia svantaggiata ha il diritto di disporre di reddito e di servizi della migliore qualità per non restare indietro. Fra i tratti distintivi della strategia presidenziale c’è però anche il realismo. La solidarietà costa, e dunque bisogna lavorare di più: più ore, per più anni. Non tutti sono convinti che questa sia la ragione della performance piuttosto deludente dell’economia transalpina. Ma la sfida dei costi è seria. Per garantire protezione ai più deboli si deve chiedere qualche sacrificio a chi ha di più (come i funzionari pubblici).

Il secondo motivo d’interesse delle vicende francesi riguarda la Ue. Macron ha confermato l’importanza del motore franco-tedesco, ma ha anche lanciato alcune pesanti accuse alla Germania: risponde sempre di no, eppure è il paese che ha tratto maggiori vantaggi dall’euro. E, soprattutto, persegue un modello di crescita che è ormai chiaramente contrario all’interesse europeo. Si tratta di critiche condivise da molti, è un bene che Macron abbia avuto il coraggio di esplicitarle. Il suo rafforzamento politico, dopo le elezioni europee, sarebbe una risorsa preziosa per smuovere le acque di Bruxelles.

Per l’Italia questo scenario aprirebbe spazi enormi. Un anno fa, la nostra diplomazia era impegnata nella preparazione del Trattato del Quirinale fra Roma e Parigi: un’occasione unica non solo per noi, ma per tutta la Ue. Il nuovo governo ha bloccato tutto: non ama né l’Europa né Macron e flirta con i sovranisti. Scelte non solo irragionevoli, ma anche autolesioniste. Un ripensamento sembra tuttavia assai poco probabile. Comunque evolva, l’esperienza francese dovrebbe essere studiata a fondo anche dall’opposizione italiana. Nella «fase uno» della presidenza, Macron ha spesso peccato di arroganza, adottando uno stile da monarca repubblicano. Ma negli ultimi mesi ha cambiato atteggiamento, mostrato responsabilità, capacità di leadership e visione. Su questi due versanti, in Italia, il Pd non ha certo brillato in passato. E ancora oggi soffre di troppi conflitti interni e debolezza progettuale. Il paese sta affondando nella palude del populismo, senza prospettive di uscita dalla crisi sociale e dal declino economico. La mancanza, per ora, di alternative (ossia di un’opposizione con buone idee e capace di leadership) aggrava il problema e getta ombre sempre più preoccupanti sul nostro futuro.

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