26 febbraio 2019 - 21:58

Il prete che disse no alla dittatura dei clan

Venticinque anni dopo l’uccisione del prete nella sacrestia della sua chiesa a Casal di Principe, Luigi Ferraiuolo lo ricorda nel libro «Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra»

di Gian Antonio Stella

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Una grande manifestazione antimafia nazionale tenuta dieci anni fa a Casal di Principe nel nome di don Peppe Diana, il prete ucciso a 15 anni prima (Ansa) Una grande manifestazione antimafia nazionale tenuta dieci anni fa a Casal di Principe nel nome di don Peppe Diana, il prete ucciso a 15 anni prima (Ansa)
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«Faceva caldo, era pomeriggio. Ero da poco parroco. In quegli anni c’era un morto ogni due giorni. I camorristi erano i padroni di tutto. Si permettevano di correre in giro sulle macchine coi mitra in mano...». Venticinque anni dopo l’uccisione del prete nella sacrestia della sua chiesa a Casal di Principe il 19 marzo 1994, Luigi Ferraiuolo ricorda nel libro «Don Peppe Diana e la caduta di Gomorra» come tutto cominciò nell’estate del ’91. «San Nicola di Bari era la mia chiesa da un paio di anni», raccontava il sacerdote, «Era immersa nei vicoli. Se non la conoscevi non ci sapevi arrivare. Ero orgoglioso di esserne il parroco. Ero il parroco casalese di una parrocchia di Casale. Ero lì quando mi giunse una telefonata». Un nuovo omicidio.

Non era un camorrista, il morto. Era un ragazzo dei Testimoni di Geova, si chiamava Angelo Riccardo, aveva ventuno anni, stava tornando con quattro amici da Baia Domizia e la loro auto era passata davanti agli assassini nel momento in cui avevano cominciato a sparare contro un sicario detto «’o cocchiere». Peppino Diana ne restò profondamente scosso. Ne nacque un volantino firmato da parroci e comunità parrocchiali della zona. Titolo: «Basta con la dittatura armata della camorra». Seguivano parole d’accusa.

Parole che, scrive Ferraiuolo, «erano ferro bollente: bastavano da sole per decretare la condanna a morte dei firmatari, tanto erano dure contro la criminalità ma anche contro le Istituzioni. Il ciclostile fece il giro di tutte la case del circondario» e venne inviato alle più alte cariche dello Stato, al vescovo di Aversa, a quello di Caserta... Fu lì che venne rotto il silenzio. Lì che si avviò il processo che avrebbe portato allo scioglimento dei Comuni più inquinati, alle prime denunce, a una stagione di rinascita. «La camorra ha assassinato il nostro paese, “Noi” lo si deve far risorgere», scrisse Don Peppino Diana prima di essere ammazzato. È cambiata, da allora, Casal di Principe. Basti ricordare che cinque anni fa scelse come sindaco Renato Natale, che a suo tempo la camorra aveva condannato a morte. Il percorso da compiere è ancora lungo. Ma è avviato. Proprio nella scia di una frase bellissima di quel parroco martire: «A me non importa sapere chi è Dio. A me importa sapere da che parte sta».

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