7 maggio 2019 - 21:56

Un garantismo poco credibile

Oggi Matteo Salvini difende Armando Siri sottolineando che a suo carico non c’è neppure un rinvio a giudizio. Ma con gli avversari non è mai stato così garantista

di Gian Antonio Stella

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Matteo Salvini, a sinistra, con Armando Siri (Ansa) Matteo Salvini, a sinistra, con Armando Siri (Ansa)
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«Ma che ci sia almeno un rinvio a giudizio... Non si dice una condanna in terzo grado, ma almeno un rinvio a processo». L’ultimo arrocco di Matteo Salvini in difesa di Armando Siri potrebbe vedere d’accordo gran parte se non tutti i garantisti. Per essere davvero credibile, però, «il Truce» (copyright Giuliano Ferrara) avrebbe dovuto dimostrare giorno dopo giorno la sua coerenza con questo principio. Che non può avere giorni alterni. Ma è così? Partiamo da un’Ansa del 31 gennaio 2004: «Fiaccolata oggi pomeriggio promossa dalla Lega Nord a Milano, dove circa 200 persone dopo un breve corteo sotto la pioggia hanno raggiunto la sede della Borsa in Piazza Affari per chiedere maggiore tutela per i risparmiatori. Quasi tutti gli slogan sono stati contro il governatore della Banca di Italia, al grido di “Fazio vattene” o “Fazio va’ a lavorare”». Del corteo faceva parte l’allora capogruppo leghista in consiglio comunale Matteo Salvini. Deciso a pretendere le dimissioni dell’allora governatore della Banca d’Italia a prescindere dal percorso processuale. Per capirci: il successore di Ciampi non solo non era ancora stato condannato in primo grado, ma non era stato rinviato a giudizio e addirittura non aveva ancora ricevuto neppure un avviso di garanzia.

Si dirà: era una richiesta di dimissioni tutta «politica». Che puntava sul «senso» delle cose che via via stavano emergendo. Nella scia di tanti «abbandoni» pretesi per quella che i comunisti di una volta chiamavano, al di là della responsabilità penale personale, «responsabilità oggettiva». La stessa, per capirci, scagliata nell’agosto scorso contro i vertici della società autostrade per il crollo del ponte Morandi. Quante sono state, in questi anni, le furenti intimazioni a dimettersi da parte del segretario leghista? Contro Laura Boldrini per mille cose, contro Angiolino Alfano dopo i raid vandalici dei tifosi del Feyenoord, contro Ignazio Marino («Se decide di ritirare le dimissioni da sindaco vado nel suo ufficio con lo scotch e lo porto via di peso»), contro Maria Elena Boschi («Se si è occupata di una banca dove lavorano il padre e il fratello dovrebbe dimettersi in tre secondi») che non avrebbe poi avuto neppure un avviso di garanzia o contro Maurizio Lupi («Le dimissioni Renzi le ha chieste ad altri per molto meno») senza poi fosse manco rinviato a giudizio... Evviva il garantismo!

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