Lega-M5S, un mese di tempo per capire se andare avanti

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Un mese. Un mese per capire se la legislatura andrà avanti. Il premier Giuseppe Conte ieri ha detto al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che proverà a continuare. Ma le Europee e il trionfo della Lega hanno cambiato equilibri e prospettive. La preoccupazione per il peggioramento dei conti pubblici è tale che qualcuno non esclude un voto anticipato a settembre: se non altro per avere un governo in grado di fare la Legge finanziaria.

Dopo il colloquio avuto in mattinata con il vicepremier Matteo Salvini, capo della Lega e vincitore delle elezioni europee, Conte si è dichiarato «moderatamente ottimista». Ma il tentativo del Movimento Cinque Stelle di blindare il suo leader Luigi Di Maio con una votazione sulla controversa piattaforma Rousseau di David Casaleggio, ha il sapore della mossa disperata. I milioni di voti persi nelle urne lo hanno delegittimato. E se il M5S, a cominciare da un redivivo Beppe Grillo, cerca di puntellarlo, è perché vuole allontanare elezioni che ridimensionerebbero brutalmente il successo del 2018. Non solo. Una caduta di Di Maio permetterebbe a Salvini di ritenere disdetto il famoso «contratto» e archiviare la «legislatura del popolo».

Ma anche senza l’arrivo di una figura estremista come Alessandro Di Battista, rapido a passare dal ruolo di amico a quello di potenziale pugnalatore di Di Maio, la situazione appare in bilico. Per circa un anno, le agende dei Cinque Stelle e dei leghisti si sono sommate in modo contraddittorio. Una trattativa continua e sfibrante ha permesso uno scambio di leggi che rispondevano a interessi contrastanti, con riflessi negativi sul deficit e sul debito. Ora nemmeno quello scambio sembra più verosimile. Le agende non si sommano ma si escludono, perché quella di Salvini è diventata dominante.

Per questo, la prospettiva di una nuova fase del governo Conte è disseminata di mine. Numeri parlamentari che prima apparivano granitici traballano, soprattutto al Senato. Partiti di centrodestra come Fratelli d’Italia e Forza Italia, in precedenza disposti a fornire qualche aiuto provvidenziale su alcune misure dell’esecutivo, sono ingolositi da possibili elezioni: se non altro perché pensano di tornare al potere, sebbene subordinati alla Lega di Salvini. Non solo i rapporti di forza nella maggioranza, ma la logica con la quale il 1° giugno del 2018 si era formato l’esecutivo gialloverde, appaiono dunque superati.

I problemi economici, però, non lo sono. Anzi, al di là degli slogan demagogici, si presentano incancreniti. E al Quirinale si avverte l’assillo di uscire da una situazione del deficit e del debito pubblico, che la propaganda ha velato e nascosto troppo a lungo. Il timore che quanto resta del «contratto» si trascini pericolosamente nei prossimi mesi è forte: tanto più se coincidesse con una strategia di spese in deficit, destinata a cronicizzare lo scontro con le istituzioni europee e le nazioni alleate dell’Italia.

La lettera arrivata ieri dalla Commissione di Bruxelles, conferma che è stato fatto poco per correggere i conti. Ma è solo un assaggio agrodolce di quello che potrebbe accadere, se i mercati finanziari decidessero che è il momento di aggredire un’Italia dominata da un sovranismo indifferente alla disciplina finanziaria; di più, deciso a violarla senza remore, quasi in segno di sfida. L’esigenza di alzare la testa e guardare oltre suggerisce chiarezza e senso di responsabilità.

L’incontro avuto ieri da Conte col ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è nato dall’esigenza di analizzare con serietà i margini di manovra del governo. Si avvertiva l’eco chiara dell’inquietudine emersa nell’udienza al Quirinale; e non solo per i prossimi mesi, che pure saranno dirimenti. La narrativa di M5S e Lega, ormai è evidente, non corrisponde alla realtà. Se non se ne prende atto rapidamente, la prospettiva è di sottoporre l’Italia a manovre correttive dolorose per il 2019, e perfino oltre.

29 maggio 2019, 21:41 - modifica il 29 maggio 2019 | 21:42

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