commento
Terrorismo xenofobo, servono più risorse per polizie e intelligence
Polizie e intelligence hanno come target primario i militanti del Califfato o i qaedisti, una conseguenza delle stragi avvenute in questi ultimi anni. Un fronte aperto fin dalla prima metà degli anni ’90, una guerra mai finita
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Moschee, chiese e sinagoghe. Attentati in paesi diversi compiuti da estremisti xenofobi, decine le vittime. I dati indicano di una minaccia in crescita, ma che apparentemente è sottovalutata per troppo tempo. Solo adesso, dopo l’eccidio in Nuova Zelanda, si inizia ad avvertire il pericolo, anche se restano dei freni.
Il primo è rappresentato dalla tendenza a considerare questi attacchi come terrorismo interno e, a volte, a paragonarli a gesti di follia. E’ vero che gli assassini neonazisti agiscono spesso da soli, però ideologicamente fanno parte di una rete ampia e globale. E’ proprio a questa platea che si rivolgono, imitando chi li ha preceduti e usando i loro nomi come simboli. E’ un errore considerali dei lupi solitari. Il secondo aspetto è il loro modus operandi. Rispetto ai jihadisti, con i quali condividono non pochi punti in comune, costituiscono un numero più ridotto e sono abili nel mimetizzarsi. I killer vivono nella loro tana, dalla quale escono solo per sparare. Il web diventa il loro canale di collegamento, hanno una grande attività coperta quanto intensa davanti ad un computer. Infine le risorse dedicate al contrasto. Polizie e intelligence hanno come target primario i militanti del Califfato o i qaedisti, una conseguenza delle stragi avvenute in questi ultimi anni. Un fronte aperto fin dalla prima metà degli anni ’90, una guerra mai finita. Inevitabile che fosse così. Oggi però occorre bilanciare lo scudo dedicando grande attenzione ad un avversario capace nello sfruttare le tensioni sociali e persino nel fiancheggiare — con gli slogan — l’uomo della strada.