5 agosto 2018 - 07:03

Così hanno attaccato Mattarella sui social: indaga l’Antiterrorismo

Denunce in Procura per «alto tradimento». Nel mirino 400 profili Twitter, tutti riconducibili a un’unica origine

di Fiorenza Sarzanini

Così hanno attaccato Mattarella sui social: indaga l'Antiterrorismo
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Si è mosso su due fronti l’attacco contro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il suo rifiuto a nominare Paolo Savona ministro dell’Economia. Prima migliaia di tweet generati da 400 profili che la notte tra il 27 e il 28 maggio scorsi — praticamente in simultanea — ne chiedevano le dimissioni. Poi la presentazione di numerose denunce — tutte già archiviate — che sollecitavano la sua messa in stato d’accusa per alto tradimento. E adesso proprio su questo indaga il pool antiterrorismo della procura di Roma guidato da Francesco Caporale, per individuare l’origine dell’assalto al Quirinale. La relazione della polizia Postale arriverà la prossima settimana. Ma le verifiche effettuate nelle scorse settimane da investigatori e intelligence avrebbero consentito di acquisire alcuni elementi preziosi per individuare chi aveva deciso di scagliarsi contro il capo dello Stato.

Gli account italiani

I falsi profili utilizzati su Twitter risultano essere stati creati da server esteri, in particolare estoni e israeliani. Ma questo non vuol dire che siano partiti da quegli Stati. Anzi. È verosimile che gli account generati probabilmente da un’unica fonte, siano stati aperti in Italia e che il rimando a quei Paesi servisse esclusivamente a confondere. Dunque una strategia sofisticata e condotta da esperti per impedire che si arrivasse a chi ha pianificato l’operazione. Una prima analisi confermerebbe che il primo segnale proveniva da una regione settentrionale. Un vero e proprio «via libera» che è poi servito a «scatenare l’inferno» come spesso accade sui social quando si vuole colpire un bersaglio. E in questo caso l’obiettivo è stato raggiunto perché sono stati inviati migliaia di messaggi con l’hashtag #Mattarelladimettiti e la maggior parte dei falsi profili utilizzati sono stati chiusi poco dopo.

Le denunce ai pm

Nei giorni successivi alla Procura di Roma sono state depositate numerose denunce per chiedere l’apertura di un’inchiesta contro Mattarella per alto tradimento. Esposti che riprendevano in maniera esplicita quanto veniva dichiarato pubblicamente dal capo politico dei 5 Stelle Luigi Di Maio, da molti esponenti di primo piano del Movimento, ma anche da Giorgia Meloni leader di Fratelli d’Italia. Il 27 maggio, dopo il rifiuto di Mattarella a nominare Savona ministro e la conseguente rinuncia di Giuseppe Conte a formare il governo, Di Maio dichiara: «Questa scelta del presidente è incomprensibile. Non possiamo stare a guardare, di fronte a tutto questo. Io chiedo di parlamentarizzare questa crisi istituzionale, utilizzando l’articolo 90 della Costituzione, per la messa in stato d’accusa del presidente della Repubblica». L’iniziativa non viene poi formalizzata, ma poche ore dopo parte comunque l’attacco via web e vengono presentati esposti formali.


L’ipotesi eversiva

Alla polizia postale si chiede dunque di ricostruire quanto accaduto, rintracciare gli account, individuare i server. E così dare un’identità a chi ha compiuto un atto ritenuto eversivo proprio perché prende di mira la più alta carica dello Stato. L’esito di queste verifiche sarà poi incrociato con l’identità di chi ha presentato le denunce proprio per scoprire se ci sia stata un’unica regia dietro l’attacco che mirava a indebolire il Quirinale. Anche tenendo conto che lo scontro istituzionale di quei giorni aveva provocato un innalzamento dello spread con possibili rischi per l’economia. Al momento sembra quindi esclusa la possibilità che dietro questo attacco ci siano account russi. Ma il lavoro degli specialisti della Postale dovrà comunque concentrarsi sull’attività di quei soggetti che avrebbero provato a influenzare la campagna elettorale in vista delle consultazioni del 4 marzo scorso. I dati sono contenuti negli atti dell’inchiesta in corso negli Stati Uniti sul Russiagate.

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