24 aprile 2018 - 22:46

La base M5S è sempre più inquieta. Il leader: non darò la mia testa al Pd

La difesa del ruolo di premier, «o salta tutto». Ai voti un’eventuale intesa. Il Movimento 5 Stelle si muove su un doppio binario, talora triplo

di Alessandro Trocino

Luigi Di Maio tra Danilo Toninelli e Giulia Grillo (Imagoeconomica) Luigi Di Maio tra Danilo Toninelli e Giulia Grillo (Imagoeconomica)
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A massima apertura sui temi, chiusura sulla premiership. Il Movimento 5 Stelle si muove su un doppio binario, talora triplo, con una strategia complessa da decifrare e con un finale non scritto. Sul piano della comunicazione, Luigi Di Maio e i suoi hanno scelto la strada di incoraggiare le trattative con il Pd, chiudendo ufficialmente con la Lega, escludendo governi tecnici o del presidente, e lasciando come unica alternativa le urne. In realtà, la partita si gioca in una trattativa sotterranea più articolata. Che contempla la possibilità tutt’altro che remota di un fallimento del dialogo con il Pd. E, con l’affacciarsi della possibilità di un governo istituzionale, di una sollevazione anti inciucio delle due forze che più apertamente si dicono estranee alle «ammucchiate» e che finirebbero per tornare a convergere, come in un gioco dell’oca: 5 Stelle e Lega.

No secco ai «pidioti»

Naturalmente è un approdo tutt’altro che sicuro, che passa attraverso un numero di variabili troppo elevato per consentire scommesse sicuramente vincenti. Quello che è certo è che il Movimento è attraversato, forse per la prima volta da settimane, da un brivido di malumore montante. Tra i dirigenti e i parlamentari, spaccati tra chi vuole un governo purchessia anche senza Di Maio (come Carlo Sibilia, che scrive «andiamo oltre i nomi») e chi dice un no secco ai «pidioti», come li chiamavano un tempo (ma c’è anche chi, come Paola Nugnes, si dice «rigenerata» dallo stop alla Lega). La base, a sua volta, da giorni rumoreggia contro l’ipotesi di una convergenza con i dem. Rumore di sottofondo diventato talmente assordante, che Di Maio ieri ha dovuto offrire, sull’altare dell’accordo, la ratifica con il voto dei militanti. Se mai ci si arriverà. Perché non è escluso che la strada si interrompa prima. Anche per questo Di Maio e i suoi hanno messo in campo esplicitamente la minaccia del voto. Perché, di fatto, gli unici due partiti a non temere le urne, visti i sondaggi favorevoli, sono proprio M5S e Lega. Il Pd farebbe di tutto per non tornarci ora, visto anche il desolante risultato molisano.

Contro l’inciucio

La minaccia di un ritorno alle urne potrebbe costringere i dem a passi più meditati. Da giorni si dice che potrebbero chiedere a Di Maio di rinunciare alla premiership. Ieri il capo politico M5S non ha incluso la sua carica tra i paletti all’accordo con il Pd. Perché non voleva dare pretesti ai dem per non sedersi al tavolo delle trattative. Ma il diktat rimane. I 5 Stelle si dicono sicuri: «Vedrete, non ce lo chiederanno. Neanche Renzi». Ma il timore di una manovra a tenaglia, magari con sponde nel Movimento, resta. E Di Maio lo dice chiaro ai suoi: «Se vogliono la mia testa, i nostri diranno di no nel voto e si torna dritti alle urne». Ma non sono le urne l’obiettivo principale dei 5 Stelle. Perché il forno con la Lega, come ha ammesso ieri anche Emilio Carelli, resta ben aperto, nonostante le successive chiusure. E i contatti tra gli ambasciatori proseguono. Al momento opportuno, contro l’inciucio potrebbe risorgere la santa alleanza Lega-M5S, ponendo fine a veti e tentennamenti.

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