24 aprile 2018 - 22:16

Governo, una virata che conferma le incognite sull’intesa

La spinta di alcuni pezzi della sinistra a trattare con Di Maio sta crescendo. E lascia prevedere o un patto di potere spregiudicato e controverso tra il Movimento e il partito del «reggente» Maurizio Martina

di Massimo Franco

Luigi Di Maio e Danilo Toninelli (Imagoeconomica) Luigi Di Maio e Danilo Toninelli (Imagoeconomica)
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La chiusura del «forno» della Lega è stata formalizzata dal leader del Movimento Cinque Stelle, Luigi Di Maio, con parole durissime: da deluso. D’altronde, era l’unico modo per spingere il Pd, o almeno una parte, a esaminare la possibilità di fare un esecutivo insieme. Avvertire che dopo questo tentativo non ci saranno «governi tecnici, del presidente, di garanzia, di scopo. Per noi si dovrà tornare al voto, anche se deciderà il presidente della Repubblica», è un modo per esercitare la massima pressione sui dem; e obbligarli a sedersi al tavolo che hanno rifiutato finora, asserragliati all’opposizione. Pazienza se molti militanti sia del Pd, sia dei Cinque Stelle considerano un epilogo del genere improponibile: troppe macerie politiche accumulate in questi anni; e pazienza se il centrodestra grida al tradimento della volontà popolare. La spinta di alcuni pezzi della sinistra a trattare con Di Maio sta crescendo. E lascia prevedere o un patto di potere spregiudicato e controverso tra il Movimento e il partito del «reggente» Maurizio Martina e dell’ex segretario Matteo Renzi; o l’esplosione degli equilibri dem, ibernati dopo il tracollo del 4 marzo ma scossi nell’impatto col M5S.

Novità inaspettate

Colpisce l’atteggiamento agli antipodi dei renziani e dell’ala governativa del Pd verso la mediazione dal presidente della Camera, Roberto Fico, grillino. La sua «esplorazione» sembra offrire novità inaspettate; e di portare al capo dello Stato, Sergio Mattarella, che insegue la possibilità di creare una maggioranza, convergenze tra i «nemici» degli ultimi anni. I sostenitori del segretario sconfitto nel voto di marzo fanno sapere di essere comunque contrari al dialogo; e Renzi ha la maggioranza nei gruppi parlamentari. Ex ministri e governatori, invece, vogliono accettare la sfida. Difficile prevedere come andrà a finire. Per ora, l’unico risultato è che passeranno ancora alcuni giorni. Domani il M5S riunirà i suoi 338 deputati e senatori. Ma il Pd ha convocato la Direzione per la settimana prossima. Dunque, difficilmente si saprà prima se le aperture di Di Maio faranno breccia; e quali saranno i contraccolpi. Promette di aprirsi in modo surrettizio un congresso tra renziani e antirenziani; tra fautori di un’alleanza coi Cinque Stelle, e sostenitori di un «governo di tutti» anche con Forza Italia. Ma non vanno trascurate le dinamiche nel Movimento. Doversi rivolgere all’odiato Pd, per Di Maio, che aveva puntato molto sulla Lega di Matteo Salvini, è una mezza sconfitta. E dà ragione a chi scommetteva sul fallimento di un governo tra i due presunti «vincitori» del 4 marzo. C’è da chiedersi quali saranno le contropartite che i dem potrebbero pretendere: a cominciare dalla premiership di Di Maio. Dipenderà da quale Pd accetterà di trattare: se ce ne sarà uno. Gli scontri preelettorali sono stati così virulenti che non potevano non proiettarsi anche sul dopovoto.

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