24 aprile 2018 - 23:36

Pd-M5s, Renzi arroccato sul no, ma i dem sono nel caos: conta in direzione

La base dem contraria all’accordo. Su Twitter impazza l’hashtag #senzadime

di Monica Guerzoni

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Sedersi o non sedersi al tavolo con gli acerrimi nemici? L’amletico dilemma che lacera il Pd sta portando in superficie le tensioni represse dopo la sconfitta del 4 marzo. L’hashtag #senzadime che impazza su Twitter, alimentato anche da parlamentari vicini a Maria Elena Boschi, rivela il tentativo di riconnettersi con la base in rivolta e la determinazione di Matteo Renzi a far saltare il tavolo, prima ancora che le delegazioni vi prendano posto.

In vista della conta finale in direzione, i grandi sconfitti delle elezioni sono al tutti—contro—tutti. Persino dentro il giglio magico la visione sul da farsi non è univoca. Se Boschi chiude a doppia mandata, a Luca Lotti si attribuiscono contatti con emissari dei vincitori. A Palazzo Madama raccontano che il senatore di Firenze abbia rimproverato il capogruppo Andrea Marcucci per aver aperto a Fico e chiuso a Di Maio premier: «Hai sbagliato di brutto».

La confusione regna sovrana, anche tra i renziani. «Matteo non sa quale sia la meta — spiegano i parlamentari a lui più vicini — Ma poiché non vede una via di uscita netta, stoppa ogni accordo». L’ordine di scuderia partito ieri dalle stanze di Palazzo Giustiniani, dove è stato a lungo chiuso con il portavoce Marco Agnoletti, era respingere profferte e lusinghe. Persino Graziano Delrio è finito nel mirino. Durante il colloquio a Montecitorio il capogruppo ha mediato tra Maurizio Martina e i niet di Marcucci e Orfini, ma poi Renzi ha giudicato «troppo aperturiste» le sue parole ieri sera a Porta a Porta.

La giornata dei dem è stata scandita da discussioni anche aspre, vertici, telefonate roventi e frenetici battibecchi via social. Prima di salire a piedi (e divisi) a Montecitorio, i delegati si sono visti con Martina al Nazareno e la discussione è stata molto accesa. Per i renziani il reggente voleva «aprire senza condizioni» e così Marcucci e Orfini, con la mediazione di Delrio, hanno chiesto tempo fino a dopo i ponti di primavera e preteso la conta in direzione. Per imporre la linea servono 105 voti e i renziani pensano di averne minimo 125, al netto di chi è passato con il fronte dialogante: una ventina di Franceschini, due di Delrio, nove di Martina e alcuni battitori liberi.

«Salvini e Di Maio stanno ancora trattando — è il convincimento che Renzi ha condiviso con i suoi — Se non faranno il governo, hanno un patto di ferro per andare a elezioni». L’idea terrorizza tanti nel Pd, anche tra i renziani. Ma l’ex premier, forse galvanizzato dall’hashtag #Renzitorna, non sembra temere le urne. Sarebbe questo uno dei nodi che lo allontanano dal presidente Mattarella, il quale invece è determinato a scongiurare il ritorno al voto. E se il Quirinale dovesse infine appellarsi alla responsabilità di tutti i partiti? Qui le versioni divergono. C’è chi dipinge Renzi pronto a fare la sua parte e chi lo esclude: «Un governissimo, e con chi?». Martina vuole provarci fino in fondo, purché il prezzo dell’accordo con il M5S non sia una spaccatura irreversibile del Pd. Il reggente, che ha dalla sua Franceschini, Orlando, Emiliano, Zanda, Finocchiaro, Minniti e, si dice, anche Gentiloni, guarda con rispetto alla «prudenza» di Renzi e pianta i suoi paletti per il confronto. Per tranquillizzare il suo predecessore al Nazareno assicura che il Pd non farà nessuna abiura della stagione del governo. E chiede un «tempo ragionevole per discutere di programma». Alla fine però anche Martina, che ha tastato il polso della base, tanto ottimista non è: «Probabile finisca con un no».

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