8 dicembre 2018 - 22:29

Migliaia di No Tav sfilano a Torino
«M5S ha promesso, ora la fermi»

Dal Movimento a Rifondazione: battuta l’altra piazza. Contestato il vicesindaco

di Gabriele Guccione

Migliaia di No Tav sfilano a Torino «M5S ha promesso, ora la fermi»
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«Siamo 100 mila, ma vi rendete conto!», urla dal palco uno dei leader storici, Alberto Perino. Quando piazza Castello non si è ancora riempita e la coda del corteo si trova in via Cernaia, a 850 metri di distanza e dieci minuti di cammino, i No Tav non stanno nella pelle e si affrettano a festeggiare il loro successo, la loro prova di forza. Le cifre ballano, com’è normale che sia in questi casi. I Cinquestelle torinesi, nel chiedere ai «loro» ministri di «fermare subito l’Alta velocità Torino-Lione» senza aspettare l’analisi costi-benefici (a questo punto, davanti a «questa massa democratica — dicono — non si può soggiacere a nessun valore economico»), contano «70 mila in marcia». La questura ridimensiona il tutto e parla di «circa 20 mila». Ma al di là del solito balletto sui numeri (la verità potrebbe stare nel mezzo e in chi ha calcolato 50 mila manifestanti), il dato politico registrato ieri a Torino è che i No Tav hanno sorpassato, in termini numerici, la manifestazione arancione del 10 novembre, quella convocata in appena una settimana dalle sette «madamine» della buona società torinese, dalle associazioni imprenditoriali e dall’ex sottosegretario forzista Mino Giachino.

Certo, ieri in quella stessa piazza Castello di un mese fa non c’erano soltanto torinesi, ma tanti valsusini: «Abbiamo portato il vento della Val di Susa». Come quello caldo, il föhn, che ieri soffiava sulla Mole. Sono loro, del resto, quelli interessati più da vicino dai cantieri del nuovo tunnel ferroviario che, dopo 147 anni di vita, dovrebbe sostituire il Fréjus. No Tav, come da copione. Ma anche No Muos, No Tap, No Gronda, No Terzo Valico e un gruppo di «gilet gialli» dalla Francia, tutti i «no» d’Italia, e non solo, riuniti in un unico corteo, accanto alle bandiere di Cgil, Fiom, Arci, Cobas, Rifondazione, Potere al Popolo. «Una piazza organizzata — fa notare il governatore Sergio Chiamparino — che ha raccolto le tante sfumature del “no a tutto” che percorrono l’intero Paese».

Il corteo viene aperto da una fila di donne con in testa un cappello su cui c’è scritto: «Meglio montagnine che madamine». «Non ci faremo mangiare vivi dal partito del Pil», grida al microfono la speaker della protesta, un’attivista del centro sociale Askatasuna. È il momento dell’orgoglio e della risposta alla piazza delle «madamine» e di chi aveva reagito al voto con cui il M5S ha proclamato Torino città No Tav. Pure la sindaca Chiara Appendino, al termine del corteo, riscopre la sua antica appartenenza: «Sono contraria da sempre, quell’opera rappresenta un modello di sviluppo del passato». E però lo fa a distanza, sui social, a bocce ferme. Lei, infatti, per non esporsi con quella maggioranza silenziosa della città favorevole alla Tav e, al contempo, evitare di inimicarsi ulteriormente i suoi fibrillanti consiglieri comunali ha preferito farsi sostituire dal suo vice con la fascia tricolore al petto, Guido Montanari. Il quale non è riuscito però a schivare le contestazioni: un giovane anarchico lo ha accusato, insieme al M5S, di «servire la Lega» e non mantenere le promesse sull’Alta velocità. Le stesse promesse che poco più tardi il leader Alberto Perino ricorda mentre punta il dito sugli alleati leghisti: «La Torino-Lione non è mediabile, si può solo non fare o ci troverete tutti davanti alle vostre ruspe, basta voler far circolare le merci e far crepare i migranti in montagna e in mare». Parole che suonano definitive. Come l’ultimatum del senatore grillino Alberto Airola: «L’analisi costi benefici prima o poi arriverà e la Tav non si farà. Se così non fosse andremo tutti a casa».

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