15 dicembre 2018 - 22:26

Il governo sulla corda: c’è fiducia, l’Unione europea non esageri

I controlli della direzione generale per gli Affari economici della Ue. L'ultimo miglio dei negoziati. L’attesa per l’imprimatur politico dei due vicepremier

di Marco Galluzzo

Giuseppe Conte (Epa) Giuseppe Conte (Epa)
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«La situazione è fluida, se pensano di tenerci sulla corda per motivi politici si rischia che salti tutto. Abbiamo già fatto tanto, l’Europa non deve forzare, ma c’è fiducia». Questo dicono fonti di governo, in un sabato pomeriggio in cui il negoziato sulla manovra con Bruxelles ha ancora caratteri «nebulosi», prendendo a prestito un aggettivo usato da Juncker sulla Brexit e che ha fatto infuriare la May. Eppure il rischio di no deal fra Roma e la Commissione europea sembra diradarsi con il passare delle ore. Se dalle fonti di governo si passa ai tecnici che hanno qualche conoscenza diretta dei negoziati si ottiene qualcosa di diverso: ormai siamo all’ultimo miglio, «alle ultime ore di una trattativa che ha già incastrato i vari pezzi del puzzle e che a questo punto attende solo l’imprimatur politico dei due vicepremier, noi stiamo chiudendo». In questo lungo weekend di attesa il premier cercherà di ottenerlo, per poi forse volare un’ultima volta a Bruxelles e stringere l’accordo sulla manovra di bilancio direttamente con Juncker, in un ennesimo incontro, con tanto di grancassa mediatica.

Verifiche estenuanti

Di sicuro gli uffici diretti dall’italiano Marco Buti, capo della direzione generale per gli affari economici e finanziari della Ue, hanno fatto le pulci all’ultima versione della manovra portata a Bruxelles mercoledì scorso, riveduta e corretta, sulla sua scrivania. E da quella scrivania è iniziata un’analisi certosina che ha provocato non pochi malumori. Che sia un italiano a fare le pulci ai conti italiani può sembrare un paradosso, ma in questo caso bisogna ricordare che gli stessi uffici ci stanno in sostanza condonando un aggiustamento dello 0,6% di deficit strutturale che avremmo dovuto fare e che non faremo. E vale forse anche l’adagio, ruvido ma con un fondo di realtà, che spesso risuona in bocca ai nostri diplomatici: «Quando sono gli italiani ai vertici del potere comunitario lavorano per la Ue, quando sono gli altri lavorano anche per i loro Paesi». Di certo le verifiche di queste ore, che dovrebbero terminare oggi, visto che la manovra deve approdare in Parlamento, in Senato, non più tardi di dopodomani, sono state quasi estenuanti. E a ben poco sono valsi i programmi e i progetti strategici di riforma portati a Bruxelles da Giuseppe Conte, sulla semplificazione, sulla riforma degli investimenti e degli appalti, su un diverso sistema regolatorio della pubblica amministrazione: «Sono tutte cose che proponeva anche Renzi», gli è stato risposto ai margini del Consiglio europeo, «tutti sanno ormai cosa deve fare l’Italia per crescere, solo che lo annunciate da anni senza farlo», è stata l’amara ironia contro cui ha sbattuto il capo del governo.

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