27 dicembre 2018 - 14:04

Tassa sul volontariato, governo come lo sceriffo di Nottingham

Difficile trovare una ragione al raddoppio delle imposte per chi supplisce alle carenze dello Stato ed evita la bancarotta sociale. A meno di concepire la solidarietà come un nemico

di Giangiacomo Schiavi

Tassa sul volontariato, governo come lo sceriffo di Nottingham
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È difficile trovare un motivo per giustificare l’assurdo raddoppio delle tasse sul volontariato voluto dal governo gialloverde, equiparando il non profit, come ha scritto Gianantonio Stella, a un bene di lusso. Prima ancora però bisognerebbe sapere nome e cognome di chi l’ha voluto, di chi ha detto che questa era una buona idea, di chi non si è mai chiesto come mai nel nostro traballante Paese resiste un esercito di persone che supplisce alle assenze dello Stato e offre un aiuto a chi non ce la fa, evitando una gigantesca bancarotta sociale.

Perché il raddoppio dell’Ires è figlio di una cultura che va nella direzione contraria a quella di ogni società civile: ridurre il peso della tassazione sulla beneficenza e alleggerire la fiscalità a chi fa del bene e in questo modo toglie un onere allo Stato, che non può o non riesce a fare altrettanto. La cronica indisponibilità di risorse statali per i bisogni delle comunità in Italia è tamponata da anni con la rete di supporto del Terzo settore, che chiede, come si fa nei Paesi anglosassoni, di favorire la detraibilità delle donazioni in denaro a chi svolge una funzione pubblica. Non di mettere sullo stesso piano, per esempio, chi si occupa di assistenza come Vidas, o di supporto alla disabilità, come l’Istituto dei ciechi, con una gioielleria di via Montenapoleone.

Non c’è nessuna ragione per trattare la solidarietà come si fa con un nemico, a meno di vedere il volontariato come tale, perché estraneo ai populismi e ai sovranismi, qualcosa di non governabile e di non politicamente assimilabile, e per questo non meritevole di ascolto o di aiuto. Da parte di chi, ci si chiede. Della Lega, che fa dell’esclusione la sua battaglia politica? O dei Cinquestelle, che usano l’assistenzialismo come macchina di consenso? Ma in questo caso non siamo davanti alla cancellazione di una rendita di posizione o ad un odioso privilegio di casta: siamo all’economia brutale stile sceriffo di Nottingham, il nemico di Robin Hood, quello che toglie ai poveri per dare ai ricchi, o comunque riempie il calderone dello Stato, dove invece della trasparenza regna la nebbia.

C’è giustamente disagio, imbarazzo, protesta e aria di rivolta nel Terzo settore e nel mondo del volontariato. Il provvedimento del governo non è soltanto vessatorio e ingiustamente punitivo verso quel mondo che a parole viene elogiato ogni volta che si devono affrontare calamità e avversità: è anche un provvedimento distruttivo e antistorico, che riporta indietro le lancette della politica, verso quel centralismo che per anni la stessa Lega ha combattuto e che oggi trova sulla sponda opposta le regioni del Nord, in cerca di federalismo fiscale e maggiore autonomia. Le ragioni economiche di una tassa che priva il non profit di un capitale da investire in pubblica utilità, come servizi ai più deboli, ricerca e assistenza, a conti fatti sembra soltanto uno strumentale pretesto per giustificare una palese iniquità: non si risana così il bilancio dello Stato. Anzi. Si dà una mazzata a un settore che fa crescere i beni relazionali, dalla condivisione alla fiducia. Come ha detto più volte il presidente Mattarella, «un Paese dove si spezzano i fili che uniscono le persone minando la coesione sociale è un Paese impaurito e fragile. Il volontariato è al contrario un antidoto alle chiusure e agli egoismi che si generano nei momenti di difficoltà...». Questa tassa si può ancora evitare, si deve certamente rivedere.

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