3 maggio 2018 - 07:26

Pd, scontro sulla conta in direzione. Il partito è spaccato a metà

«Niente voti», dicono i renziani. Ma si prepara la fiducia a Martina. Lite sulla lista online con i pro e contro M5S

di Monica Guerzoni

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La prova di forza, almeno nei gruppi parlamentari, è riuscita. Matteo Renzi ha i numeri per orientare le scelte chiave del Pd, dall’identità politica all’indicazione del futuro segretario. Ma lo scontro pesantissimo che si è consumato alla vigilia, consegna alla direzione nazionale di oggi pomeriggio un partito spaccato a metà.

«Serve unità nella chiarezza» è l’avvertimento che filtra dall’area di Maurizio Martina, stanco di essere delegittimato dal segretario ombra. Il fronte che si oppone all’ex capo del governo spinge per la resa dei conti, perché preferisce avere un segretario di minoranza piuttosto che un leader tenuto in scacco dal giglio magico. «La direzione dovrà concludersi con un voto» insiste Gianni Cuperlo, che ai renziani chiede di riconoscere il lavoro del ministro uscente dell’Agricoltura all’insegna della collegialità. E così Martina lavora a un ordine del giorno per chiedere al partito di rinnovargli la fiducia. «Non posso più essere ostaggio di Renzi», si è sfogato con i suoi.

L’ex premier è tentato dall’idea di votare a favore della permanenza di Martina fino al congresso, perché se andasse alla conta certificherebbe di aver perso consensi rispetto alle primarie vinte col 70%. Ma poiché il risultato non è scontato, il reggente ha messo in conto anche la sconfitta e le dimissioni. Dalla parte di Martina c’è Dario Franceschini, che vuole «la chiarezza di un confronto politico» e sfida l’ex segretario: «Sono certo che Renzi, che ha a cuore l’unità del Pd, sarà il primo a votare la fiducia al suo ex vicesegretario». Anche Andrea Orlando e un Michele Emiliano che parla di «grandissima tensione e tristezza» sono determinati a mettere fine all’antagonismo tra il Pd ufficiale e il Pd parallelo.

Archiviata da Renzi la partita sul dialogo con i 5 Stelle, ora a dilaniare i dem sono la tempistica e gli assetti per arrivare all’assemblea nazionale e poi alle assise. «Il congresso va convocato al più presto» accelera Luciano Pizzetti, vicino a Martina. Ma i renziani, se in direzione il Pd dovesse spaccarsi, potrebbero sparigliare ancora e fissare al 12 e 13 maggio l’assemblea, per eleggersi in quella sede il segretario.

Se la minoranza guarda a Martina e a Nicola Zingaretti, l’unico renziano in campo al momento è Matteo Richetti, che non ha firmato il documento con cui Lorenzo Guerini ha schierato con l’ex segretario 120 parlamentari su 157 e fatto infuriare gli oppositori. «La conta promossa dai capigruppo per non fare la conta ancora non si era mai vista», attacca Orlando. Guerini giura di aver fatto «un tentativo di pacificazione», eppure i dem hanno litigato tutto il giorno sui tre punti chiave: no alle conte, stallo frutto dell’«irresponsabilità» di M5S e centrodestra e «mai la fiducia a un governo Di Maio o Salvini». Per Renzi è un «testo sobrio, per evitare polemiche» e con lui lo hanno firmato Delrio, Marcucci, Rosato e anche due cuperliani, Carla Cantone e Andrea De Maria. In direzione gli oppositori del senatore di Scandicci sono in minoranza, ma in caso di conta sperano di recuperare qualcosa tra i delegati di Gentiloni e Minniti e tra gli ex parlamentari non ricandidati.

Un’altra polemica è divampata attorno al sito filorenziano #senzadime, accusato dalle minoranze di aver stilato «liste di proscrizione» di parlamentari e membri della direzione favorevoli all’accordo con i 5 Stelle. Franceschini è sconsolato: «Quando in un partito si arriva a questo c’è qualcosa di profondo che non va». I renziani prendono le distanze e il sito ci mette una pezza con gli «omissis».

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