19 ottobre 2018 - 22:16

Quando l’emotività prende il politico
Di Maio e il ritorno del fattore umano

La crisi (di nervi) di queste ore ha tanti precedenti: da Fanfani a Renzi

di Pierluigi Battista

Quando l’emotività prende il politico   Di Maio e il ritorno del fattore umano
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E poi c’è il fattore umano, le scosse impreviste dell’animo che smentiscono e mettono in crisi il cieco procedere di una macchina che i freddi e oggettivi «analisti», quelli che non sanno nemmeno cosa sia il «fattore umano», consideravano inarrestabile. E così per il governo gialloverde: che fino a poche ore prima sembrava destinato a fasti infiniti, tutti a chiedersi quanti decenni avrebbe potuto durare, se uno, due, addirittura tre, che un patto (un «contratto») rendeva quasi generazionalmente blindato, e poi un trasalimento emotivo di Luigi Di Maio lo ha reso vulnerabile, debole. A tempo, non più eterno.

Un attimo prima macchina schiacciasassi, pronta all’urto con il potente establishment europeo. Poi la crisi di nervi, la paura anzi il panico, la spasmodica ricerca di «manine» traditrici, l’insipienza, la fragilità caratteriale. Il fattore umano che si mette di traverso. E poi certo c’è sempre la possibilità di metterci, come si dice, una pezza, di ricompattare quanto sembrava sul punto di smembrarsi. Ma dalla crepa emotiva, dall’attimo di terrore e di abbandono, condono o non condono, è difficile riprendersi: quella deviazione del carattere è agli atti. Politicamente non condonabile. L’inesperienza può essere un jolly, nei periodi cosiddetti rivoluzionari, tutto senso di inizio e di cambiamento. Ma può diventare un terribile difetto, quando si deve gestire con freddezza la cosa pubblica, complessa e macchinosa. Il fattore umano è quell’ostacolo sul quale chi fa politica di governo non dovrebbe mai infrangere le proprie ambizioni e le proprie fobie. Ma Luigi Di Maio, lo spazio di qualche ora, ha ceduto. Si è fatto trascinare dal fattore umano, incapace di governarlo.

Prima di lui, in Italia, senza andare ad anni troppo lontani, molti protagonisti della politica sono stati indeboliti o addirittura azzoppati dallo stesso demone autodistruttivo. Nella Prima Repubblica Amintore Fanfani aveva una sola, divorante, incontenibile ambizione: diventare presidente della Repubblica. Ma al Quirinale lui non salirà mai come primo cittadino della Repubblica, i suoi movimenti erano troppo dominati dall’emotività per renderli efficaci, malgrado i tanti anni di esperienza politica alle spalle, ai massimi livelli delle istituzioni. E Berlusconi? Aperto, dinamico, intraprendente, concreto, astuto, decisamente più bravo di tanti colleghi politici che vantavano lunga e collaudata esperienza. Ma con il demone della gelosia e della mania del sospetto quando doveva trattare con i suoi possibili «delfini» che lui vedeva come pericolosi concorrenti pronti a tramare nell’ombra per spodestarlo. E dunque via Casini, via Fini, via Tremonti, via chiunque potesse ambire a sostituirlo, o addirittura a oscurare il suo astro negli anni a venire. Matteo Renzi, poi, sulla sua smania caratteriale di annientare, di «asfaltare» come amava dire, gli avversari, i «rosiconi» come diceva lui, chi si ostinava a non chinarsi nel signorsì, i «gufi» come diceva lui, ha fatto rovinare la sua esperienza politica nei primi tempi baciata dal successo, poi destinata al fallimento per la manifesta incapacità di dominare il fattore umano dell’arroganza.

E ora il «fattore umano» di Luigi Di Maio, che si accorge tardi delle conseguenze di una manovra economica, che sente crollare addosso la fatica psicologica di un’alleanza difficile con un partner spregiudicato e cinico come Matteo Salvini. E che, come si dice, ha un mancamento fatale. Dove la solida oggettività delle leggi della politica si sbriciola per fare emergere il fondo inconsapevole di una fragilità troppo ingombrante. E tutto si rimette in moto, e addirittura un governo che sembrava infrangibile deve mettere nel conto la sua imprevista vulnerabilità. Umano, troppo umano.

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