20 ottobre 2018 - 23:46

Italia 5 Stelle, pochi (e tiepidi) fan. Il padre di Di Battista: «Datemi il potere assoluto, e in 6 mesi...» | Di Battista: torno a Natale, mi manca la battaglia

Fico scuote la kermesse. L’avvertimento: non dimentichiamoci chi eravamo...

di Fabrizio Roncone

Roberto Fico (Ansa)
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Giggino, dicono certi dell’ufficio stampa — chiamandolo proprio così, Giggino — ha appena lasciato Palazzo Chigi.

Cinque minuti dopo, Luigi Di Maio — in camicia bianca, senza cravatta, le maniche arrotolate — sale velocissimo sul palco del Circo Massimo e i militanti non fanno in tempo ad accorgersi del viso stanco, del sorriso forzato sotto occhiaie profonde, perché lui è già dentro il comizio, con l’urgenza di urlargli subito un paio di cose.

«Quel maledetto condono non c’è più e voi, qui, siete tantissimi» (l’ha infiocchettata meglio, ovviamente, ma il succo del discorso era questo).

Vi starete chiedendo: come hanno reagito i militanti?

Con applausi convinti, ma non eccitati. Nessuna ovazione. Il colpo d’occhio, del resto, non si presta all’idea di bolgia: qualche migliaio di persone, poche bandiere, poco entusiasmo, molti panini con la mortadella e niente a che vedere con la platea che Beppe Grillo riunì qui quattro anni fa, salendo magnifico su una gru, e da lassù gridandoci allegro: «Voi giornalisti siete dei fantasmi, cadaveri che camminano, servi dei padroni, miserabili lombrichi destinati all’estinzione...».

Invece siamo un po’ tutti ancora qua e il Movimento 5 Stelle, che era di lotta ed è diventato di governo, sembra davvero piuttosto disorientato dagli avvenimenti dell’ultima settimana.

Voci raccolte tra gli stand.

Mauro Della Casa, da Bergamo, operaio: «Non possiamo andare dietro a Salvini anche sui condoni». Simonetta Bellini, da Cagliari, insegnante: «I leghisti? Noi siamo ancora poco smaliziati». Giorgio Luperini, da Napoli, disoccupato: «Noi, a differenza della Lega, siamo per la legalità».

Dietro di lui, su un mega-schermo, scorrono le immagini della senatrice Paola Taverna (la mamma, da 24 anni, vive in un appartamento di proprietà dello Stato nel quartiere romano del Quarticciolo, e risulta abusiva). Accanto al megaschermo, c’è una specie di bancomat: dove i soldi non si prendono, ma si versano. Adesivo: «Dacci una mano». Valeria Cozzolino, assistente parlamentare, aiuta i militanti di buona volontà: «Finora, abbiamo raccolto almeno 5 mila euro». Passa un signore anziano: «Signorina, perdoni la curiosità: ma dove finiscono tutti questi denari?». Poi ridacchia e, con lo sguardo, indica lo stand «Rousseau». All’ingresso hanno scritto: «Uno strumento di intelligenza collettiva» (un fotografo sostiene di aver visto, poco fa, Davide Casaleggio in persona).

Il clima è questo, le parole sono anche queste.

Confermata l’assenza di Edoardo Bennato (calo di voce, giura), laggiù il sottosegretario Vito Crimi con la compagna deputata Paola Carinelli, non pervenuti i No Tap, i No Vax, i No Tav. Cioè, no: uno che gira mostrando un piccolo cartello con questi slogan, c’è. È Vittorio Di Battista, il papà di Alessandro (il cui intervento è annunciato via Skype da un luogo imprecisato del Sud America, tipo Subcomandante Marcos).

Intanto: il signor Vittorio gira con una portavoce al seguito. Poi, incalzato, e senza avere l’aria di scherzare, dice: «Mio figlio tornerà a Natale, ma il potere assoluto datelo a me: e in sei mesi vi risolvo tutti i problemi. Potere assoluto, ho detto: non con Salvini. Lui è di destra, io sono fascista».

Poi si mette in posa per un selfie. La butta sul selfie anche Gianluigi Paragone, ex direttore del quotidiano leghista La Padania, e ora senatore grillino. È alle prese con un militante animalista. «Credimi — dice Paragone — se hai una bella idea, mettila sulla piattaforma Rousseau, e noi la facciamo diventare legge». Ma quello: «Ue’, belin…».

La maggior parte dei partecipanti a questa quinta edizione di Italia a 5 Stelle arriva da fuori Roma. S’intuisce quando Virginia Raggi, sindaco di questa città sommersa dai rifiuti, strangolata dal traffico e con buche come nemmeno alla periferia di Kabul, viene accolta con sorrisi di simpatia. Gli stessi riservati ad Antonio Rinaldi, l’economista allievo del ministro degli Affari europei Paolo Savona, quando in una agorà improvvisa un comizietto parlando di «deficit» e «spread». Due parole che nessuno, in un giorno intero di festa, osa pronunciare.

Ignorato completamente anche il severo giudizio con cui Moody’s ha bocciato la manovra economica del governo. Sul palco, però, un pattuglione di parlamentari con alcuni palloncini che compongono la scritta: «Bye bye vitalizi». E, in sfilata, la Lezzi, la Grillo, e Fraccaro, e Costa.

Però, anche per loro: applausi da prassi.

Poi, sale Roberto Fico, il presidente della Camera. «Non ci dobbiamo mai dimenticare chi eravamo...». E allora succede qualcosa: i militanti paiono improvvisamente scossi. Ci sono grida di evviva e quell’euforia forte che travolge, identifica, tiene insieme.

Qualcuno, con calma, trovi le parole per raccontarlo a Di Maio.

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