17 settembre 2018 - 23:17

Manovra, 3 ore di duello: l’assedio al ministro Tria. Di Maio insoddisfatto La Lega fa i conti: 24 miliardi da usare

I due vicepremier dopo il vertice a Palazzo Chigi: «Serve più coraggio»

di Emanuele Buzzi, Marco Cremonesi

Da sinistra Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Giovanni Tria (Ansa) Da sinistra Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Giovanni Tria (Ansa)
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L’assedio. Di un assediato che ha sempre lo stesso nome: Giovanni Tria. Il ministro dell’Economia, anche al vertice con il premier Giuseppe Conte, i due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini e il ministro agli Affari europei Paolo Savona, ha dovuto mantenere il sangue freddo e fare muro rispetto ai costi del contratto di governo tra Lega e 5 Stelle.

Ma guai a dirlo a Matteo Salvini («Macché...»), che invece parla di «bello e proficuo lavoro per far crescere l’economia». Anche se, con assai meno ufficialità, ai collaboratori dice che «nel rispetto dei conti e dei parametri, serve un po’ di coraggio per far ripartire il Paese». Ancor meno entusiasta Luigi Di Maio, che al termine del summit ha riunito il suo staff ristretto (ministri, sottosegretari e parlamentari) in un ristorante romano: oggi parte per la sua missione in Cina che lo terrà lontano per cinque giorni.

Ma il dopo vertice ha offerto al capo politico dei 5 Stelle anche l’occasione di dirsi «non soddisfatto». Aggiungendo con i suoi un commento simile a quello di Salvini: «Dobbiamo essere più coraggiosi nelle nostre scelte, e sul reddito di cittadinanza non arretreremo di un millimetro». Una frase che suggerisce come il pilastro del programma stellato resti uno dei nodi più complicati da sciogliere.

Eppure, tutti restano convinti che alla fine i tre totem inviolabili del contratto di governo (riforma fiscale, reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni) nella legge di bilancio ci saranno (leggi qui cosa c’è nella finanziaria). E che anche gli 80 euro di renziana memoria saranno mantenuti. I più ottimisti sono i leghisti, che spargono sicurezza a piene mani: «Le cifre sono chiare e non c’è da fare drammi». Ma quel che conta, è l’aggiunta: «Ora, si tratta di mettere con le spalle al muro il ministro Tria». In che modo le cifre sarebbero chiare? «Il punto di partenza è il Def. Da qui al 3%, e cioè al rapporto tra deficit e Pil, ci sono 36 miliardi». Insomma, bisogna proprio arrivarci? «Sfiorare» la soglia come diceva Matteo Salvini nelle scorse settimane? «Aspetti — dice il leghista —. C’è una voce assolutamente neutra, che sono i 12 miliardi di Iva». Quindi, restano 24 miliardi potenziali? «Appunto. Lì dentro ci sono le risorse per fare quello che si vuole fare. Per tagliare le fette spesse, 10 miliardi per il programma leghista e altrettanti per quello a 5 Stelle». Così, sembra che ancora ne avanzino (sul 3%). «Sì, anche se poi in effetti ci sono alcune spese indifferibili. Però, ci sono delle entrate che noi crediamo significative, e non per modo di dire: la pace fiscale, un po’ di spending review...». Il leghista sbotta: «Vogliamo dirlo? Una manovra espansiva come questa aumenterà certamente il Pil, e dunque i saldi miglioreranno. Alla fine, saremo intorno al 2,5% sul rapporto deficit/Pil, forse anche meno».

Manovra: dalle pensioni alle tasse, cosa c’è (e cosa no) nella finanziaria
I punti

Resta il fatto che al ministro Tria è attribuito spesso un concetto riassumibile così: «È inutile aumentare il deficit: se poi dobbiamo pagarlo con lo spread non ha senso». Ma i leghisti restano convinti che «prima ci scardiniamo dalla testa l’idea che lo spread dipenda dal deficit, meglio è...». L’interlocutore si infiamma: «Ma è possibile che siamo tenuti a dare numeri come sacre scritture soltanto noi? Prendetevi quelli di Padoan del 2015: sono fuori come terrazze, qualcosa come 50 miliardi di scostamento».

Sul fronte 5 Stelle acque un po’ agitate ma per motivi che poco hanno a che fare con la manovra. I vertici hanno dovuto tenere sotto controllo i malumori dell’ala ortodossa per l’incontro di Arcore tra i leader di Forza Italia e Lega. Tensioni che anche alla guida del Movimento si sono fatte sentire. «Forte è l’irritazione per il fatto che si parli di garanzie a Berlusconi», si lamentano i 5 Stelle. E dall’entourage del vicepremier spiegano all’Adnkronos che «Berlusconi non potrà mettere le mani sulla Rai in alcun modo».

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