19 settembre 2018 - 23:11

Il ministro e la carta dell’Iva per fronteggiare le promesse dei partiti

L’idea di Tria di spostare certe voci nelle aliquote superiori. Tutto ciò che fa muovere il mercato in queste settimane è destinato a restare a lungo.

di Federico Fubini

Giovanni Tria (Ansa)
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Se c’è qualcosa che preoccupa Giovanni Tria in questi giorni, sono le parole. In particolare quando vengono pronunciate a sorpresa, riguardo al bilancio, dagli esponenti di governo: quelle mettono alla prova l’imperturbabilità del ministro dell’Economia per un motivo che non riguarda solo gli equilibri politici o la volatilità sul mercato nelle seguenti. C’è un’implicazione più concreta: tutto ciò che fa muovere il mercato in queste settimane è destinato a restare a lungo. Ogni dichiarazione erode gli spazi di bilancio per l’Italia se l’effetto diventa un aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, come accaduto ieri quando il vicepremier Luigi Di Maio ha detto che vale la pena fare più debito pur di tagliare le tasse. L’effetto rischia di essere in effetti più debito ma meno spazio per tagliare le tasse, a causa di un meccanismo automatico: nello stilare il bilancio, il Tesoro non può immaginare numeri arbitrari; deve ipotizzare per il 2019 il peso degli interessi sul debito che risulta dai rendimenti di queste ultime settimane. In altri termini, tutto ciò che fa salire i costi dell’indebitamento pubblico da metà settembre in poi entra nella nota al documento di economia e finanza come deficit in più per l’anno dopo, dunque diventa spazio in meno per le misure promesse dalle forze di governo. Lo spread di queste ultime settimane — lo scarto fra titoli pubblici italiani e tedeschi a dieci anni — va infatti proiettato in avanti nei dati della Legge di stabilità.

Disarmo bilaterale

Per questo il ministro dell’Economia ha seguito con frustrazione i continui rilanci di fine estate, quando i leader di M5S e Lega facevano a gara a chiedere sempre di più. In quel momento il rendimento del titolo a dieci anni è salito fino al 3,24%, il 31 agosto scorso. Ed è anche per questo che Tria è stato felice di assistere verso metà mese a un disarmo bilaterale delle promesse più costose, fra i due partner e concorrenti del governo populista: a quel punto il rendimento dei titoli di Stato a dieci anni è subito sceso di 44 punti (0,44%), non appena gli investitori hanno iniziato a pensare che il titolare dell’Economia sarebbe riuscito a ottenere un deficit a attorno all’1,6% del Pil nel 2019 — piuttosto basso — come risultato della legge di Stabilità. Il ministro non ha mai rinunciato all’idea di arrivarci anche spostando certi prodotti e servizi verso fasce di aliquote più alte dell’Iva, dunque aumentando il gettito.

Ciclo di promesse

A quel punto, allentata la tensione sullo spread, è subito partito un altro ciclo di promesse al rialzo sul deficit. È quello in corso in queste ore. Succede sempre così non appena i leader politici si sentono un po’ più al sicuro da un’altra ondata di stress sui mercati. Stavolta la sfida si consuma attorno alla soglia del 2% di deficit, rispetto al Pil, che non è solamente simbolica: in un’economia che rallenta, può rappresentare tutta la differenza fra un debito che l’anno prossimo scende oppure non riesce quasi a farlo (o addirittura sale, in caso di forte rallentamento della crescita). Già l’incontro di governo di lunedì sera aveva messo in evidenza posizioni distanti. Poi ieri una nuova asta delle promesse è stata inaugurata da Luigi Di Maio, vicepremier di M5S e leader più in difficoltà nei sondaggi e nell’agenda politica rispetto alla Lega, dunque più bisognoso di un’affermazione. Di Maio ha ricordato che vale la pena di fare «debito in più per mantenere le promesse». Quanto a lui, arriverebbe a un disavanzo del 2,5% nel 2019, che implica davvero aumenti del debito, probabili declassamenti dell’Italia da parte delle agenzie di rating e nuovi costi da interessi a carico degli italiani.

Sacrifici necessari

Naturalmente la Lega non poteva restare indietro, dato che il capo politico di M5S aveva ripreso a rilanciare. E il mercato ha subito risposto con un aumento di dieci punti dei rendimento del debito italiano. Così la giostra fra promesse e spread ha avviato un altro giro. Non sarà l’ultimo, benché ormai il tempo stringa in vista dei piani di bilancio da presentare entro sette giorni. Tutto fa pensare che l’impianto e la coerenza interna della Legge di bilancio siano ancora in aria. Ciò può solo produrre nuove tensioni, quando Tria presenterà ai partiti i sacrifici necessari per finanziare la loro corsa al rialzo delle promesse.

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