3 aprile 2019 - 23:02

Il senso dei 5 Stelle per i «dossier». Giorgetti: ne hanno su tutti

I veleni nel governo: le strategie del Movimento viste dal sottosegretario leghista

di Tommaso Labate

Il senso dei 5 Stelle per i «dossier». Giorgetti: ne hanno su tutti
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«Loro hanno dei dossier su tutti, anche su di noi...». Ecco, prima di delineare i contorni di questa spy story permanente che agita sottotraccia la vita dell’esecutivo e che solo in casi eccezionali finisce con una denuncia pubblica — è successo ieri, quando nel colloquio con Federico Fubini del Corriere il ministro Giovanni Tria ha detto di aver subito un «attacco spazzatura» con tanto di «violazioni della privacy» per la storia di Claudia Bugno — prima di tutto questo, insomma, bisogna fare qualche passo indietro. Al «loro», al «noi», all’io narrante. «Loro» sono genericamente ambienti del M5S; «noi», invece, sono i ministri della Lega di Matteo Salvini. L’«io», autore della confidenza fatta alcune settimane fa a una serie di amici e colleghi, colui che a ragione o a torto immagina che tra i corridoi di Palazzo Chigi ci sia un sospetto viavai di dossier, risponde al nome di Giancarlo Giorgetti.

Sia chiaro, quelli che hanno raccolto la confidenza del sottosegretario alla presidenza del Consiglio si sono trovati di fronte un interlocutore tutt’altro che intimorito dall’andazzo denunciato. Giorgetti frequenta il Palazzo dall’epoca in cui il leader della Lega era Umberto Bossi, ne ha viste di tutti i colori, ha i galloni del veterano, di quello che ormai non si sorprende più di tanto. Epperò, al pari del resto della compagine leghista, il sottosegretario dev’essersi sorpreso assai nei primi istanti del consiglio dei ministri che a inizio febbraio doveva istruire la pratica del rinnovo di Luigi Federico Signorini alla vicedirezione generale della Banca d’Italia. Perché in quella sede, e su questo le testimonianze di diversi presenti alla riunione collimano, tutti i componenti del governo in quota M5S si erano presentati all’appuntamento muniti, manco a dirlo, di «un dossier» sull’uomo di finanza pubblica che da una vita è in Bankitalia. «Come se in qualche modo l’obiettivo», racconta una fonte, «fosse collegare in maniera pretestuosa la sua provenienza toscana al mondo renziano...». Infatti, il rinnovo non ci fu.

È come se la denuncia di Giovanni Tria risvegliasse un mostro che non si era mai sopito. Fogli, screenshot, voci, veline e veleni hanno già scandito la fine dell’inverno della politica con caso che ha visto (suo malgrado) protagonista Giulia Sarti. «Credo si tratti di una vendetta politica interna al M5S. Lì dentro c’è una cyberguerra. Alla Casaleggio c’era una fobia nei miei confronti e tutti quelli che erano stati vicini a me erano visti con sospetto e subivano uno spionaggio stile Stasi», è la conclusione a cui era arrivato uno dei primi espulsi del M5S, Giovanni Favia, durante un’intervista rilasciata a Monica Guerzoni sul Corriere il 19 marzo. Anni fa, Favia era molto vicino all’ormai ex presidente della Commissione giustizia della Camera, finita nel tritacarne dopo l’inchiesta delle Iene.

E dire che nel 2014 era stato Gianroberto Casaleggio a denunciare «dossier in preparazione contro di me, la mia famiglia e la mia società». Sembra passato un secolo. Dopo di allora, il giochino dei dossier è entrato e uscito dalla vita pubblica del Movimento inquinando in ordine sparso competizioni regionarie (Sicilia, seconda candidatura di De Vito, 2017), comunarie (Roma, ai danni di Marcello De Vito, oggi arrestato, 2016), i primi cento giorni della giunta Raggi e molto altro ancora.

Oggi, nella maggioranza, qualcuno ha l’impressione che il senso della politica per il dossieraggio abbia varcato i confini di Palazzo Chigi. Trasformando in un ricordo quasi innocuo il grande scandalo che fece, nel 2009, la decisione dell’allora sindaca di Napoli Rosa Russo Iervolino di registrare a loro insaputa un confronto con i big del Pd partenopeo sulla giunta. Vista con gli occhi di oggi, una barzelletta.

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