11 aprile 2019 - 23:38

«Caccia» alle donne in lista
Forza Italia ripesca Pivetti
Nel Pd prevalgono: 39 a 37

Di Maio «copia» Renzi e schiera cinque capolista al femminileLa «ribelle»del M5S, Elena Fattori: «Logica sciovinista e maschilista»

di Monica Guerzoni

«Caccia» alle donne in lista Forza Italia ripesca Pivetti Nel Pd prevalgono: 39 a 37
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È passato un lustro, ma l’unghiata con cui Grillo provò a sfregiare le capoliste del Pd ancora rimbalza sul web: «Quattro donne usate a fini di marketing secondo la migliore tradizione berlusconiana: quattro veline e Renzie a fare il Gabibbo. Una presa per il c., ma tinta di rosa».

Europee, i candidati del Pd: in lista 39 donne e 37 uomini. Un terzo, non iscritti al partito
Le liste

Era il 2014. Anche grazie al quintetto Moretti, Chinnici, Bonafé, Picierno, Mosca, l’allora premier incassò il 40,8% e adesso Luigi Di Maio ha deciso di copiare il format. Domani il «capo» del M5S presenterà la sua cinquina di capilista, tutte donne. Una mossa che conferma la tendenza della politica italiana a utilizzare le candidature femminili in chiave troppo spesso strumentale e propagandistica. «Siamo di nuovo al capo politico che sceglie le sue donne con logica sciovinista e maschilista», commenta la senatrice «ribelle» Elena Fattori. Tre giorni fala foto opportunity del Salone del Mobile di Milano, con quella imbarazzante parata di (soli) uomini delle istituzioni e le scuse del sindaco Beppe Sala. «Vedo un arretramento che mi fa paura» ammette Alessia Mosca, eurodeoputata del Pd. Nicola Zingaretti ha schierato nelle liste 39 donne contro 37 uomini, confermando l’ex ministra Cecile Kyenge e lanciando Caterina Avanza, stretta collaboratrice di Macron. Eppure Mosca invita a guardare in controluce: «Per ogni passo avanti si rischia di farne due indietro. Temo il contagio di movimenti reazionari, da Trump in giù». Perché in Italia ogni elezione è una caccia al tesoro? E perché, quando anche i partiti riescono a trovare donne forti e credibili, raramente assegnano loro ruoli di responsabilità?

La legge elettorale prevede la parità numerica e tre preferenze che «vanno espresse a candidati di genere diverso, pena l’annullamento della seconda o terza preferenza». Ma Fattori mette in guardia: «Accordo truffa, non tutelerà le candidate. Se scrivi i nomi di tre uomini, ne restano pur sempre due». La ex viceministra Cecilia Guerra, candidata per Articolo 1 con il centrosinistra, riconosce che «i giochini possono esserci», ma vede positivamente il meccanismo della preferenza di genere: «Il risultato non è garantito, ma queste forzature consentono di formare personale politico femminile». E Alessandra Moretti lancia un appello: «Donne, votate le donne!». Mara Carfagna sottolinea come Forza Italia, che ha due capigruppo donne (Gelmini e Bernini), abbia portato Elisabetta Alberti Casellati sullo scranno più alto del Senato. Eppure è lo stesso partito che ha ripescato Irene Pivetti: dopo essere stata la più giovane presidente della Camera, è diventata opinionista da talk show. Di Maio ha incassato due no che hanno fatto rumore, Licia Colò e Luisella Costamagna. Salvini invece sarà capolista ovunque e manderà in Europa l’assessore Isabella Tovaglieri e Susanna Ceccardi, sindaco di Cascina. Stesso schema per Giorgia Meloni, che nemmeno si scompone quando le si fa notare che sarà, per gli elettori di Fratelli d’Italia, il classico «specchietto per le allodole».

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