12 aprile 2019 - 21:07

Libia, petrolio e il voltafaccia di Haftar all’intesa voluta dagli Usa

Senza produzione, senza le relative entrate e senza l’elettricità il Paese sprofonderebbe nel baratro. Ma al momento l’operatività delle compagnie non sarebbe stata toccata

di Stefano Agnoli

Impianti petroliferi in Libia Impianti petroliferi in Libia
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Che la principale posta in gioco in Libia restino le installazioni petrolifere, il controllo della compagnia di Stato Noc e della Banca centrale che gestisce la liquidità prodotta dalla vendita di greggio e gas, è da sempre evidente. Non è un caso che il numero uno della Noc, Mustafa Sanalla, abbia lanciato ieri l’allarme al Financial Times, sostenendo che il Paese si trova a fronteggiare la più grande minaccia dal 2011, cioè dalla caduta di Gheddafi. Senza produzione, senza quelle entrate e senza l’elettricità il Paese sprofonderebbe nel baratro. E il prezzo internazionale del petrolio potrebbe subire contraccolpi al rialzo. Nella realtà, assicurano però gli uomini delle compagnie che operano su suolo libico, al momento l’operatività non sarebbe stata toccata (malgrado la notizia di un attacco aereo ieri a Zuwara, a 25 chilometri dal terminale gas di Mellitah). Gli scontri sono limitati alla capitale, minacciata da sud, sudovest ed est, mentre il petrolio e il gas continuano a essere estratti e a scorrere come nelle ultime settimane, con le diverse infrastrutture «protette» dalle milizie e pagate dalla compagnia di Stato.

Il mancato assenso di Egitto ed Emirati

Con la situazione militare ormai in stallo (con i reparti di Misurata e Zintan il premier Sarraj potrebbe contare su circa 1.500 mezzi vari contro i 560 di Khalifa Haftar, le cui file sono nutrite da molti mercenari e che si trovano assai lontane dalle loro basi dell’est) rimane l’interrogativo di fondo sulle ragioni della mossa dell’uomo forte della Cirenaica, che non riscuoterebbe l’assenso di Egitto e Emirati, suoi alleati storici. In particolare, secondo fonti diplomatiche, colpisce l’improvviso voltafaccia del generale dopo i risultati dell’incontro di fine febbraio ad Abu Dhabi con Sarraj. Un vertice voluto in particolare dagli Usa, preoccupati anche per le possibili instabilità in Algeria e in Tunisia e decisi a tornare a occuparsi del caso Libia. L’incontro negli Emirati, avvenuto alla presenza dell’ambasciatore Usa in Libia, Peter Bodde, avrebbe delineato un accordo di massima che prevedeva un passo indietro di Sarraj e la costituzione di un consiglio di presidenza con tre componenti, uno per ognuna delle regioni libiche, coordinato da un garante. Uno scenario che avrebbe dovuto costituire la base del vertice di Gadames ma che al principale sponsor di Haftar, la Francia, non sarebbe risultato particolarmente gradito.

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