13 aprile 2019 - 21:50

Di Maio e Salvini, divisi (ma uniti)
I due litiganti come Yin e Yang

Può sembrare impossibile che la coppia non scoppi. Eppure così è. Concordano soltanto sul deficit, per questo motivo Tria si è fatto zen

di Antonio Polito

Di Maio e Salvini, divisi (ma uniti)  I due litiganti come Yin e Yang
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Osservate Giovanni Tria. Quanto tempo è passato dalla caricatura che ne faceva Crozza? Pochi mesi. Eppure, come è cambiato. Il ministro del Tesoro ha ormai le sembianze di una maschera zen. Ha assunto una imperturbabilità del volto straniato, quasi assente. Sembra un monaco che si sia spogliato di tutte le seduzioni del mondo politico, e si occupi ormai solo della salvezza delle anime. Ai giornalisti che lo interrogano su quanto costa la manovra che vogliono i partiti risponde: «Serviranno risorse ingenti». Se gli domandano che farebbe dell’Iva replica: «Mi limito a dire che nel 2006 ho ricevuto un premio giornalistico per un articolo sulle virtù dell’imposta sui consumi». Si esprime ormai per metafore e aforismi, intervallati da lunghi silenzi. Da un momento all’altro, quando in Consiglio dei ministri gli solleciteranno di nuovo la flat tax, risponderà con un proverbio zen: «Si può portare il bue assetato al fiume, ma se non sarà lui a bere morirà». Oppure, se gli diranno di trovare 23 miliardi in piena recessione per evitare gli aumenti dell’Iva, se ne uscirà così: «In sostanza nulla esiste, ma se c’è il tè bevo il tè e se c’è il riso mangio il riso». Gli altri, Toninelli in testa, faranno finta di capire, e lui l’avrà scappottata anche stavolta.

Non si può dire che sia un Buddha, gli manca il ventre. Ma certamente ha raggiunto la buddhità, e se è ancora tra noi invece di andarsene nel Nirvana (l’università) è solo perché gli hanno chiesto di restare (Mattarella) per contribuire alla salvezza degli uomini (gli italiani), con la speranza di non accumulare nel frattempo altro karma negativo (deficit pubblico). In una parola: ormai non lo smuovi più. C’è addirittura chi ipotizza che Tria sia in realtà una reincarnazione del Lama precedente, Giancarlo Padoan, pure lui rifugiatosi nel buddismo zen per motivi politici; e che abbia abbracciato la sua stessa Via, detta del «Sentiero Stretto», un testo sacro della virtù di bilancio edito dal Mulino.

La dialettica del tutto originale di questa fase politica, quasi metafisica, alle prese col caos cosmico giallo-verde, sta del resto producendo forme di spiritualità orientale in tutto il governo. Prendete Salvini e Di Maio. Noi giornalisti leggiamo le loro baruffe quotidiane come il segno di una inconciliabilità culturale, seguendo un modo di ragionare tipicamente occidentale, per coppie oppositive: alto/basso, forte/debole, destra/sinistra. Per cui, in base al principio di non contraddizione, non riusciamo a capire come sia possibile che la coppia non scoppi. Insomma, non si può essere divisi su tutto e restare insieme. Errore. Si può. E se uno cerca in Oriente trova il modo per farlo: lo yin e lo yang.

I due principi del diverso e del molteplice dell’antica filosofia cinese sono infatti anche «testimoni dell’unità, si generano e si annullano, in una visione dinamica della realtà», per usare le parole di uno studioso, Massimo Raveri. Così a noi sembra che siano divisi su tutto, ma sono divisi solo sulla famiglia, sull’aborto, sui gay, sulle pistole, sull’Olocausto, sul fascismo e il nazismo, e sul capitalismo, oltre che sui cantieri della Tav. Però sono uniti sull’essenziale: fare deficit e spenderlo al più presto. Ecco perché Tria si è fatto zen. Perché ha capito che i due vicepremier sono come lo yin e yang, e alla fine compongono un solo cerchio diviso in due parti che si avvolgono in una spirale, come nel celebre simbolo. Yin sta a yang come il femminile sta al maschile, come l’oscurità sta alla luce, come il freddo sta al caldo, il passivo all’attivo. Non farò illazioni su chi sia lo yin e chi lo yang, anche perché le cose sono complesse (nelle uniche foto intime dei due mostrate al pubblico, uno dormiva, e l’altro si dava il suo daffare). Ma è chiaro che il gioco del distinguo serve a comprendere l’intera danza cosmica della politica in un solo governo: se solo potessero, andrebbero avanti così a vita. È la via del Tao, bellezza, e Zingaretti non può farci niente.

Su di loro, del resto, veglia Maya, l’Illusione. Cioè Conte, il premier. È una potenza, non c’è dubbio. Ma ingannevole. E se dice che il 2019 sarà «un anno bellissimo» mentre il Pil viene giù a pezzi, è perché sta appunto stendendo il velo di Maya sulla realtà, ostentando un sereno distacco dai dolori della carica, e sperando che all’opposizione non compaia mai uno Schopenhauer che quel velo venga a squarciarlo (ma da quando Tremonti si occupa d’altro, di leader filosofi in giro non se ne vedono).

Ma se Maya è illusione, dove è l’essenza di questo governo? È chiaro: è nel brahmino, il sacerdote che protegge il sovrano gestendo i rituali social e digital, moderno sanscrito per affascinare i fedeli. Al momento non è chiaro se si chiami Casalino o Rubei. Ma è solo nell’apparenza che si annida la sostanza. E questo in Oriente non è vero, ma a Roma sì.

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