9 febbraio 2019 - 21:59

Di Maio, i fischi e l’errore di credersi ancora all’opposizione

Sabato, a Vicenza, il vicepremier è stato fischiato. Nulla di epocale: ma ancor prima che venisse data la notizia della piccola protesta, gli addetti alla comunicazione di M5S hanno cominciato a negare l’accaduto

di Marco Imarisio

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Qualcuno ricordi a Luigi Di Maio che ha vinto le elezioni. Al governo, adesso c’è lui, in qualità di vicepremier e ministro multideleghe. E da un grande potere derivano grandi responsabilità, come diceva quel filosofo dell’Uomo ragno. Compresa quella di accettare le regole del gioco, che prevedono la possibilità di essere contestato, e comportarsi di conseguenza. Ha sempre funzionato così, da che esistono le democrazie, non importa se millenarie o più recenti.

Ieri mattina fuori dal Centro sport Palladio, dove era in corso l’assemblea dei piccoli risparmiatori delle banche venete in default, tirava una brutta aria. Matteo Salvini, l’alleato-rivale, era accompagnato da Luca Zaia, che comunque in Veneto funziona da talismano. Avvisato del clima di tensione, ha seguito il consiglio e il percorso indicato dalle forze dell’ordine, entrando in sala senza problemi. Di Maio ha fatto di testa sua, attraversando la piazza. Si è beccato fischi, insulti anche pesanti, urla.

Meglio essere chiari. Nulla di epocale. Ma ancora prima che venisse data la notizia della piccola protesta nei confronti del vicepremier penstastellato, gli addetti alla comunicazione di M5S hanno cominciato a inviare messaggi alle redazioni negando l’accaduto. «Non c’è stata nessuna contestazione a Di Maio». Poi sono arrivati i video, piuttosto eloquenti. Allora la versione dei fatti da propinare ai media è cambiata. «Sì, ma ce l’avevano anche con Salvini».

Chiamiamola una correzione di rotta in corsa, a voler essere benevoli. Succede sempre più spesso. A ogni contestazione, che sia la visita al vecchio liceo del capo politico di M5S, «Non è vero che è uscito dal retro!», oppure i fischi a lui e ad Alessandro Di Battista durante un recente comizio a Ortona per le regionali abruzzesi, puntuale arriva la rettifica informale: non dovete credere a quel che vedono i cronisti presenti.

Certo, troncare e sopire fa parte del lavoro dei mastini di qualunque ufficio stampa. Nel caso dei Cinque stelle e del loro leader, il riflesso della smentita è ormai automatico, e rivela una incomprensione di fondo del proprio ruolo, oltre che una disabitudine assoluta a qualunque forma di dissenso. La passerella tra gli scontenti funziona in campagna elettorale, quando si va all’incasso. Una volta al governo, produce rischiosi effetti collaterali.

Oggi chi decide della sorte di quei poveri risparmiatori, chi ha l’onere dell’esercizio del potere, è Di Maio. Lui forse non lo ha ancora capito, continuando a parlare e agire come fosse all’opposizione, facilitato dal vuoto siderale di quel campo. Ma i contestatori, gli insoddisfatti di ogni genere e grado, questo dettaglio non da poco lo hanno ben presente. La ruota gira, per tutti.

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