16 febbraio 2019 - 22:23

Bertinotti fa Peppone, nei luoghi di Guareschi. E il vescovo don Camillo

L’ex presidente della Camera e leader di Rifondazione con l’arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi dedica una giornata allo scrittore emiliano tradotto in tutto il mondo

di Beppe Persichella

Bertinotti fa Peppone, nei luoghi di Guareschi. E il vescovo don Camillo
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Mai potrà un parroco, frutto dell’immaginazione di uno scrittore, diventare santo. Possono invece i suoi luoghi (di fantasia) diventare meta di pellegrinaggio. Poco importa se don Camillo sia esistito solo nella testa di Giovannino Guareschi, la sua è la storia di tanti preti del dopoguerra che hanno vissuto con e tra il popolo, che si sono scornati con l’avversario comunista, che fosse un sindaco, un deputato o un segretario locale di partito. Quella storia è vera e resiste nonostante il passare del tempo. «La Chiesa italiana ha grandi santi da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Vicinanza alla gente e preghiera sono la chiave per vivere un umanesimo cristiano popolare, umile, generoso, lieto». Lo diceva soltanto tre anni fa Papa Bergoglio e la riscoperta di quel prete che condannava l’ideologia e non la persona, il comunismo e non il comunista, ha portato un folto gruppo di cattolici bolognesi, guidati dall’arcivescovo Matteo Maria Zuppi, a visitare la terra, la chiesa, la piazza e le strade scelte da Guareschi per i suoi racconti e per i film che ne sono seguiti. Proprio come se si trattasse di un santo, o giù di lì.

Quindi sveglia all’alba, zaino sullo spalle, ritrovo in autostazione e poi via verso Roncole, nel cuore della bassa emiliana, il luogo prediletto del giornalista italiano più tradotto nel mondo, per alcuni un reazionario per altri un ribelle, di sicuro una figura controversa della letteratura italiana della seconda metà del Novecento. A Roncole, Guareschi ci ha vissuto. Ma a dire il vero per molti decenni questo piccolo borgo era noto al mondo per via di un personaggio ancora più illustre, quel Giuseppe Verdi che qui è nato nel 1813. Passato l’ostracismo e la diffidenza, ora Roncole è meta di turisti che vogliono scoprire la vita del direttore del Candido, la rivista umoristica con simpatie monarchiche fondata negli anni ’50 che ebbe in Guareschi la sua colonna portante. È il figlio Alberto, che del padre porta lo sguardo e il carattere deciso, ad accogliere e guidare i fedeli bolognesi nella visita alla mostra di scritti, foto e reperti del padre.

Quando Zuppi ha pensato a questa gita fuori porta si deve essere molto immedesimato in don Camillo («Magari ci fosse qualcosa di lui in me», sospira l’arcivescovo), tanto da sentire il bisogno di una compagnia, di un Peppone che gli facesse il controcanto. I suoi collaboratori gli hanno proposto alcuni nomi, ma solo su quello di Fausto Bertinotti non ha avuto dubbio alcuno. È in questo modo che si è formata la strana coppia, così simile e distante dall’originale. Come don Camillo, anche a Zuppi piace stare tra la gente. Come Peppone, anche Bertinotti tutto sommato crede ancora nel comunismo. E come per i due personaggi di Guareschi, anche per l’arcivescovo e l’ex presidente della Camera sono più le affinità che le distanze. Mancano però le tensioni di quegli anni, la Guerra fredda, i grandi valori politici, mancano la Dc e il Pci. Salutato il figlio di Guareschi si scappa a Busseto, perché questo è un pellegrinaggio un po’ particolare, oltre alla devozione per un prete mai esistito è previsto anche il dibattito.

Il luogo scelto è per forza il teatro Verdi nella piazza centrale, così intitolato quando il compositore era ancora in vita ma senza il suo permesso, tanto che, racconta il sindaco di Busseto, «non ci mise più piede». Verdi, un’altra dura testa d’Emilia, proprio come i compaesani don Camillo e Peppone, che aveva ispirato a Guareschi questa frase: «Il sole di qui rompe le pietre ma non le teste». Un drappo rosso copre il tavolo addobbato sul palco che ospita il confronto tra i due, sullo sfondo scorrono le immagini dei film che hanno fatto il successo del prete e del sindaco comunista. «Essere avversari e non nemici, cercare ciò che unisce – suggerisce Zuppi – è il motivo per cui c’è ancora tanta attrazione in loro». Cosa non da poco, «in un momento in cui per esistere devi distruggere l’altro, quando c’è sempre un nemico, da una parte e dall’altra».

È la politica odierna, davvero poco apprezzata dall’arcivescovo e dall’ex leader comunista. «Il populismo cova rancore e odio, la dimensione popolare di cui si nutriva don Camillo è invece la nostra unica salvezza», riflette Bertinotti. È un pellegrinaggio un po’ particolare, dopo il dibattito c’è il film, o meglio la visita a quello che è stato il set a cielo aperto a Brescello di tanti lungometraggi con protagonisti Fernandel e Gino Cervi, dalla piazza al museo fitto di cimeli, c’è la moto di Peppone, il vestito di Don Camillo, le celebri biciclette. E poi, momento clou per tutti i fedeli e gli amanti della saga, la visita al crocifisso parlante, ancora oggi ospitato nella chiesa di Santa Maria Nascente. Zuppi sostiene che il dialogo con Gesù tiri «fuori l’anima più profonda di don Camillo. Il crocifisso aiuta tutti a dire e capire che pure quell’altra è una fede. E se riesce a fare del bene, se riesce a fare giustizia, allora non c’è problema. Tanto, come diceva Gesù nel film, “i conti li faccio io alla fine”».

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