3 gennaio 2019 - 23:20

La corsa di M5S e Lega tra i sospetti per i decreti «bandiera elettorale»

La scadenza del 10 gennaio. Nervi tesi e insulti aprono la corsa alle urne di maggio. È sull’economia che Di Maio e Salvini si giocano i destini dell’esecutivo

di Francesco Verderami

La corsa di M5S e Lega tra i sospetti per i decreti «bandiera elettorale»
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È in nome del reddito di cittadinanza e di quota cento che per mesi hanno battagliato con l’Europa. Ma alla fine di uno scontro che ha avuto costi finanziari e politici elevati, il governo si mostra in affanno sui «provvedimenti bandiera» di Cinque Stelle e Lega: diviso sulle norme da far approvare e attardato rispetto al timing stabilito. Perché è sui temi del lavoro che le due forze di maggioranza misurano la loro maggiore distanza. È sull’economia che Di Maio e Salvini si giocano i destini dell’esecutivo e le loro leadership, in vista della compagna elettorale per le Europee. Perciò, se potesse, il leader della Lega ringrazierebbe pubblicamente i «sindaci obiettori» che sono saliti sulle barricate contro il decreto sicurezza: «Mi hanno fatto un favore, anche se non ne capisco il motivo politico». La polemica infatti sposta i riflettori dalle difficoltà di una maggioranza che fatica a trovare un compromesso. Consente al capo del Carroccio di continuare a usare l’immigrazione come un formidabile strumento di campagna elettorale, sebbene con toni inappropriati per un ministro dell’Interno, al limite dell’insulto. E offre a Conte l’opportunità di ritagliarsi uno spazio per riaffermare il proprio ruolo di «mediatore», stavolta nella disputa tra il Viminale e l’Anci.

Corsa contro il tempo

Ma il nodo nella gestione di governo resta, e si vede. Lo si nota dalle quotidiane «precisazioni» di Di Maio sulla platea dei cittadini che avrà diritto al «reddito», e dai continui «paletti» che Salvini fissa. L’accordo iniziale prevedeva di far approvare in un unico decreto le leggi che i due vice premier hanno a cuore. Il punto — come sostengono fonti accreditate — è che «la Lega su quota cento è pronta, mentre i Cinquestelle sono ancora in alto mare». I decreti quindi saranno due, e nelle intenzioni della maggioranza dovrebbero incrociarsi in Parlamento tra Camera e Senato, per ottenere un’approvazione simultanea. Ma intanto bisognerà vedere se i testi saranno licenziati dal Consiglio dei ministri il 10 gennaio, com’era stato stabilito. È una corsa contro il tempo, scandito da polemiche sorde e in un clima di reciproci sospetti: altrimenti non si spiega come mai i partiti abbiano finora lavorato a compartimenti stagni, ognuno sul provvedimento di propria competenza. Un fatto inusuale per un governo e che rende più farraginosa la trattativa. Ma tant’è: i tecnici di M5S elaborano le loro versioni sul reddito di cittadinanza, e i tecnici leghisti esprimono per iscritto le loro obiezioni. Le tensioni sulla partecipazione degli «stranieri» al reddito e la sfida sul coinvolgimento delle imprese al progetto, rappresentano la punta dell’iceberg di un confronto che coinvolge anche le pensioni di cittadinanza.

Un derby precede l’altro

Non è facile conciliare due visioni diverse, per certi aspetti contrapposte e destinate ad allargare il solco tra Di Maio e Salvini, già concentrati sulle prossime scadenze elettorali. E consapevoli che i voti si conquisteranno sulle questioni economiche: il tema dei costi della politica, quello della legittima difesa, persino l’autonomia regionale (almeno in questa fase) saranno elementi di contorno, perché — come riconosce il segretario della Lega — «le priorità degli italiani sono tasse, burocrazia e lavoro». Di qui il nervosismo che serpeggia nella maggioranza, e la marcatura dei due leader sui «provvedimenti bandiera». Il capo del Movimento non smette di ripeterlo a quanti stanno lavorando al reddito di cittadinanza: «Ci giochiamo tutto e non possiamo sbagliare. Sarebbe un attimo...». E il leader del Carroccio, dall’altra parte, chiede ai suoi la stessa attenzione sulla vigilanza, perché «già dobbiamo farlo digerire al nostro elettorato...». È un derby di governo che precede il derby nelle urne. Così va interpretata, per esempio, l’apertura dei Cinquestelle al coinvolgimento delle imprese, su cui ha insistito a lungo il sottosegretario Buffagni: è stato un modo per togliere ossigeno alla propaganda leghista, siccome «se non l’avessimo proposto noi — sosteneva Di Maio l’altro giorno — l’avrebbero proposto loro». E «loro», cioè i leghisti, subito a replicare: «Bisognerà vedere come lo scriveranno nel decreto». È questa sospensione che colpisce, il fatto che il governo non abbia ancora chiuso la vertenza interna: dopo tre mesi di battaglia con l’Europa, dopo aver compresso il ruolo del Parlamento, dopo aver varato una manovra che puntava tutto proprio sui due «provvedimenti bandiera», come mai le bandiere non sono ancora pronte?

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