3 gennaio 2019 - 13:09

Chi è Leoluca Orlando, il sindaco «professore» che fa scintille con Salvini | «Sospendo l’applicazione del decreto sicurezza»

Democristiano di sinistra, nel 1985 per la prima volta sindaco di Palermo, Orlando da anni è in prima fila nelle battaglie per l’integrazione degli immigrati e per la difesa dei diritti degli stranieri e su questo fronte aveva già fatto scintille col ministro dell’Interno

di Salvo Toscano

Chi è Leoluca Orlando, il sindaco «professore» che fa scintille con Salvini | «Sospendo l’applicazione del decreto sicurezza»
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Quando nell’aprile del 1992 si votò col proporzionale per le ultime Politiche della Prima Repubblica, Matteo Salvini doveva ancora diplomarsi al «Manzoni» di Milano. Leoluca Orlando, allora, era già leader di partito. A dirla tutta, il sindaco di Palermo è l’unico leader di quella competizione, tra i Craxi, i Fini, i Pannella e gli Occhetto, ancora attivo in politica. Il partito all’epoca si chiamava La Rete. Orlando lo aveva fondato consumando un clamoroso strappo dalla Democrazia cristiana. E a giugno del 1993, quando per la prima volta gli italiani votarono direttamente per i sindaci, quel movimento ancora in fasce portò tre suoi candidati al ballottaggio nelle principali città in cui si votava, Milano, Torino e Catania (Nando dalla Chiesa, Diego Novelli e Claudio Fava). Tutti spinti dalla retorica antimafiosa e legalitaria di Orlando, il politico che nella sua Palermo aveva sfidato non solo Cosa nostra ma anche la sua, onnipotente, Dc.

Una storia «contro»

La lunga storia politica del sindaco che ieri ha «sfidato« il governo nazionale sospendendo a Palermo l’applicazione di una parte del decreto sicurezza di Matteo Salvini è tutta una storia «contro». L’individuazione del «nemico» è sempre stata un caposaldo nella retorica orlandiana, uno strumento che il «Professore» (così lo chiamano in città, anche se nelle borgate popolari è ancora «’U papà», per aver sistemato negli anni d’oro centinaia di persone grazie ai così detti lavori socialmente utili) sa usare con disinvoltura. E con successo. La stoccata a Salvini è solo l’ultimo esempio. Orlando ha lanciato la sfida sul decreto sicurezza mentre si trovava all’angolo per via dell’emergenza spazzatura, con le strade di Palermo sommerse dall’immondizia da settimane per via di problemi della municipalizzata che si occupa dell’igiene ambientale. Tutto passato in secondo piano grazie alla mossa pro-accoglienza, che non è certo la prima per il sindaco. Orlando da anni è in prima fila nelle battaglie per l’integrazione degli immigrati e per la difesa dei diritti degli stranieri e su questo fronte con Salvini c’erano già state scintille, come nei giorni della nave Diciotti. Classe 1947, figlio del notabile Salvatore Orlando Cascio, Leoluca è stato docente di Diritto pubblico regionale, consigliere giuridico di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione democristiano, fratello maggiore del capo dello Stato, ucciso dalla mafia nel 1980.

Visione e cambiamento culturale

Democristiano di sinistra, divenne sindaco di Palermo per la prima volta nel 1985, quando a Palazzo Chigi sedeva Bettino Craxi e alla Casa Bianca Ronald Reagan. Entrò in rottura con le correnti conservatrici della Dc di Salvo Lima e Vito Ciancimino, portò in giunta la sinistra e i comunisti, si schierò, in anni ancora assai cruenti, contro la mafia e le infiltrazioni dei boss nella cosa pubblica. «Il sospetto anticamera della verità» teorizzato dai suoi mentori gesuiti divenne il pilastro della sua retorica giustizialista. Che negli anni della «Primavera di Palermo», quelli della rinascita della città, non risparmiò nelle sue invettive nemmeno Giovanni Falcone, che a suo dire avrebbe tenuto «chiusi nei cassetti» documenti scottanti. Poi arrivò il divorzio dalla Dc e la creazione della Rete, che non ebbe vita lunga. Da lì i passaggi nell’Italia dei valori di Di Pietro e nei Democratici. Sindaco Dc dall’85 al ’90, poi sindaco del centrosinistra dal ’93 al 2000, poi ancora sindaco solo contro tutti dal 2012 a oggi. Negli ultimi anni l’avvicinamento a Matteo Renzi e l’ingresso nel Pd ma sempre da battitore libero. «Visione» e «cambiamento culturale» le sue parole d’ordine. In mezzo anche una sfortunata corsa alla presidenza della Regione (Totò Cuffaro lo sconfisse nettamente), l’esperienza al Parlamento europeo e i tanti impegni internazionali, tra libri in Germania, colazioni con Hillary Clinton, lauree honoris causa e cameo in vari film stranieri. Sempre e comunque da politico «contro».

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