4 gennaio 2019 - 22:05

Sicurezza e parole di troppo

Chi guida le amministrazioni locali non può non applicare le leggi che non piacciono. Ma il ministro dell’Interno deve rispettare l’incarico che ricopre

di Fiorenza Sarzanini

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Il duello a distanza tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini sulla sorte dei profughi imbarcati sulla Sea Watch dimostra quanto delicato sia il tema legato ai migranti. E quanto possa influire sugli equilibri interni al governo. Anche perché si inserisce nel clima di alta tensione provocato dalla sortita dei sindaci contro il decreto sicurezza che vieta l’iscrizione all’anagrafe dei richiedenti asilo. Il rischio di un cortocircuito è molto elevato e per questo è indispensabile che ognuno faccia la propria parte senza esasperare i toni.

Ci sono dei confini che nessun esponente politico, e soprattutto istituzionale, dovrebbe mai superare. E uno di questi riguarda il rispetto della legge. Non importa se le norme piacciano o no, è indispensabile applicarle e se si ritiene che violino i diritti dei cittadini — siano essi italiani o stranieri — contestarle nelle sedi appropriate. I sindaci non possono fare ricorso diretto alla Consulta, ma esistono soggetti titolati a presentarlo. Nell’attesa chi guida le amministrazioni locali deve però rimanere nella legalità., perché sarebbe davvero pericoloso far passare il principio che si può disobbedire contro ciò che non ci sembra giusto, fornendo alibi a chi delinque per mestiere o anche solo occasionalmente.

Tra i confini che non devono essere superati ce n’è però un altro altrettanto importante, anzi fondamentale. E riguarda il rispetto dell’incarico che si ricopre. Il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è rivolto ai sindaci che minacciano la non applicazione del decreto, definendoli «traditori», li ha bollati come «amici degli stranieri irregolari». Li ha avvisati che «la pacchia è finita», utilizzando lo stesso linguaggio fin qui usato contro i criminali.

Sempre più spesso il titolare del Viminale e vicepresidente del Consiglio, non tiene in conto la delicatezza del proprio ruolo. Evidentemente il consenso fin qui accumulato lo ha convinto che ciò lo porterà a vincere le Europee. Persuaso forse dal fatto che il malumore crescente all’interno dei 5 Stelle e le critiche aspre nei confronti del suo atteggiamento e delle sue proposte legislative, lo aiuti a raggiungere questo risultato. E forse non è un caso che Di Maio lo abbia sfidato proprio sul tema del divieto di sbarco per i migranti.

Salvini dovrebbe però sapere che chi guida un ministero strategico come quello dell’Interno deve seguire un registro preciso perché tratta questioni estremamente delicate, si occupa della sicurezza dei cittadini e dunque non può in alcun modo alzare i toni se non vuole correre il rischio di fomentare la rabbia e l’intolleranza. Non può additare gli «avversari» come continua a fare sui social o durante i comizi. Soprattutto dovrebbe porsi il problema di rispettare i diritti costituzionali quando presenta un provvedimento. Finora il Paese ha reagito in maniera composta e responsabile alle sue esternazioni. Ora però è indispensabile cambiare registro, rientrare nei ranghi istituzionali. E dunque aprirsi al confronto con chi ritiene che alcune scelte di questo governo siano sbagliate o dannose.

Se si agisce senza pregiudizi, si può anche tenere ferma la posizione e rifiutare le proposte di cambiamento. Ma bisogna farlo al termine di un percorso che tenga nel conto le ragioni di tutti.

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