1 aprile 2021 - 07:42

Quel fair play tra nemici. Il caso di Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer

Il confronto con il colloquio tra Letta e Meloni. Il racconto dell’ex braccio destro del missino: «Quando andò ai funerali del leader del Pci a rendergli omaggio».

di Alessandro Trocino

Quel fair play tra nemici. Il caso di Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer
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Le convergenze parallele teorizzate da Aldo Moro si realizzarono subito dopo la sua morte quando, vicino alla Sala della Regina di Montecitorio, due uomini che si erano combattuti per tutta la vita, il Fascista e il Comunista, ogni venerdì si appartavano su un divanetto e si adoperavano, con la forza delle parole e della ragione, a salvare la democrazia e la Repubblica, devastate da un’ondata di violenza e di terrorismo. Erano l’ex repubblichino Giorgio Almirante e l’antifascista Enrico Berlinguer. Quarantatré anni dopo le istituzioni sono salde, le ideologie sbiadite e i fronti opposti confusi nelle larghe intese di governo. Ma questo non impedisce di cogliere come una novità positiva — che evoca quel lontano ricordo — il colloquio avvenuto sabato tra l’erede di Almirante e del Msi, Giorgia Meloni, e l’ex dc Enrico Letta, che ha preso le redini del Pd. Unico testimone degli incontri del 1978, scomparso Antonio Tatò, è Massimo Magliaro, già braccio destro di Almirante.

Clandestinità

«C’è un dato di fondo che fa la differenza — racconta Magliaro —. Quegli incontri tra Almirante e Berlinguer erano clandestini. Allora lo sapevamo soltanto io e Tatò, oltre alle mogli dei due leader. Era troppo pericoloso farne parola». I due leader si incontravano alla Camera, nel tardo pomeriggio, quando i parlamentari erano già tornati a casa. Si sedevano su un divano appartato e parlavano a bassa voce, pacatamente. Che cosa si dicessero di preciso, nessuno lo sa: «Non ho mai avuto il coraggio di chiederlo. Me ne sono pentito come del peggiore dei miei peccati».

Violenza politica

Si è detto che discutessero della violenza politica. «Sì, questo è vero — dice Magliaro —. Era un momento terribile. Cercavano di capire come arginare una violenza che era di tutti i colori e che era protetta e foraggiata dai servizi segreti». Una reazione decisiva per risollevare le sorti di un Paese diviso a metà. Il 7 giugno del 1984, in un comizio a Padova, Berlinguer si sente male. Il giorno dei funerali, accadde l’incredibile. Racconta Magliaro: «Quella mattina andai a prendere Almirante a casa, in via Quattro Fontane. Facemmo colazione con Enzo Erra, direttore del Romadi Napoli, che lo aveva intervistato. Ci avviammo in macchina con Mario, l’autista. Arrivati al Traforo, pensavo che girasse a destra, per andare in via della Scrofa, alla sede del partito. E invece fece cenno di andare dritto. Vidi gli occhi sbarrati di Mario nello specchietto. Capimmo».

Due cavalieri medievali

La macchina si dirige verso piazza Venezia. «Pensai: cerca la bella morte. Ora lo linciano». Qui il racconto si fa apologetico: «Lo vedevi negli occhi, che dicevano: è il capo dei fascisti. Ma poi la folla si aprì quasi come fosse il mar Rosso davanti a Mosè». Alla porta di Botteghe Oscure ci sono ad attenderlo Nilde Iotti, Armando Cossutta e Giancarlo Pajetta. Al microfono del regista Luigi Magni, Almirante dice: «Non sono venuto per farmi pubblicità, ma per salutare un uomo onesto». È vero, dice Magliaro: «Lo definiva sempre un galantuomo. A quel tempo pensai a due cavalieri medievali che si sono combattuti fino allo spasimo e che ora si rendono l’onore delle armi». All’uscita, il leader missino si rivolge a Magliaro, sollevato: «Telefona a Donna Assunta, dille che è andato tutto bene». Tempo dopo, furono Pajetta e Nilde Iotti a partecipare ai funerali di Almirante.

Classe dirigente

Difficile pensare a momenti più alti, dopo tanto dolore e tanto sangue. Troppa politica è affetta da settarismo, odio o, viceversa, consorteria e consociativismo. L’incontro di questi giorni tra Letta e Meloni è un segnale di riconoscimento reciproco importante, anche se i tempi son ben diversi. E si potrebbe dubitare che l’obiettivo sia davvero, come hanno detto, «curare la democrazia malata». Più facile che c’entrino le manovre sulla presidenza del Copasir. Del resto i furori ideologici si sono spenti e i due leader di ora hanno poco a che fare con quelli di allora: «Letta non mi pare proprio l’erede di Berlinguer — dice Magliaro —. E la Meloni, con tutto il rispetto, ha visto da ragazzina la fine dell’Msi».
C’è poco da rimpiangere di quei tempi. «Io rimpiango la classe dirigente. Ricordo quando prendevo il caffè alla buvette con Francesco Forte. O le chiacchierate con Fernando Di Giulio, capogruppo Pci alla Camera. Bastava sentir parlare Nenni per capire cos’è la politica».

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