il futuro del legno
17 dicembre 2018

A chi fanno gola gli alberi caduti nel Cadore?

Tra le valli del Nord-est il vento ha abbattuto cinque milioni di alberi. Per tutelare la foresta bisogna rimuovere i tronchi in fretta. Ma il legno di abete rosso un anno fa valeva 150 euro al metro cubo, oggi 50. E il rischio è di svenderlo alle aziende straniere

Foto di Antonio Faccilongo

È TUTTO VERDE lo schermo del pc. Il dito del subcommissario scorre tra punte di abete ridotte a pixel, milioni e milioni, indicando la scia di devastazione. E il colore muta, una macchia bruna s’incunea nelle foreste scintillanti. I boschi piegati, una ferita lunga chilometri tra le valli del Cadore, disegnano slavine di legno nel cuore delle foreste. «Il 29 ottobre il vento ha toccato i 217 chilometri orari. Le nostre centraline si sono fermate a 190, poi sono saltate». Nel quartier generale padovano dell’Avepa, l’agenzia per i pagamenti in agricoltura, il direttore Fabrizio Stella si aggira tra computer che elaborano mappe satellitari. «Siamo di fronte alla più grave tragedia mai accaduta a livello nazionale e tra le più grandi del mondo, con migliaia e migliaia di ettari di boschi rasi al suolo», aggiunge Luca Zaia, governatore del Veneto e dal 16 novembre commissario per i danni del maltempo. Stella è uno dei subcommissari, il suo vice. Spetta a loro ripristinare la normalità nei boschi, impedendo ulteriori sprechi.

DOPO LO STRAORDINARIO tornado che si è rovesciato dalle Alpi sull’altipiano di Asiago, a terra sono rimasti oltre 5 milioni di abeti, materiale da falegnameria di prima categoria. Il rischio è che vada perduto, o che venga dato via per pochi euro. L’Holzkurier, il Corriere del Legno, bibbia austriaca del settore, ha stimato il danno in 17 milioni di metri cubi nell’intero arco alpino. Tronchi spezzati o divelti, da recuperare in qualche modo. L’articolo è quasi un vademecum per gli investitori. «In questa fase preferisco non azzardare stime», commenta Zaia: «Sul piano operativo, stiamo censendo le aree con l’aiuto dei satelliti. Cerchiamo di disegnare lotti per qualità e quantità del legno, prima di passare alla pulizia e alla successiva piantumazione», conclude il presidente prima di scappare via verso altri incontri e altre riunioni.

IL 3 NOVEMBRE, prima giornata di sereno dopo la tempesta e la pioggia, nelle valli venne avvistato un elicottero. «Eccoli, sono gli austriaci», si disse. I nemici della Grande Guerra che ci guardavano dalle trincee, ora sono i padroni delle più grandi segherie d’Europa. E chi lavora col legno, nel Cadore come in Trentino, teme di vederli arrivare da un momento all’altro a bordo di enormi processori, bulldozer

Foto di Antonio Faccilongo
Foto di Antonio Faccilongo

armati di pinza meccanica e sega elettrica, capaci in un amen di diramare, tagliare e accatastare tronchi. In questo momento la parola d’ordine è “rimozione”, Stella lo ripete come un mantra. «Abbiamo un anno di tempo, non di più. Tutto quel legno va tolto di mezzo. Il rischio è che marcisca e che contagi con i suoi parassiti anche le foreste sane». Molte ditte si sono fatte avanti, contattando direttamente la struttura commissariale. «Austriache, certo. Ma anche svizzere, tedesche, francesi e italiane», aggiunge il subcommissario. «Ma sarebbe un enorme errore lasciarsi prendere dal panico, e cominciare a svendere», aggiunge. Come già fatto in tutti gli incontri, Stella continuerà a raccomandare cautela. «Quando sapremo di quanti tronchi si tratta, di quale dimensione e qualità, allora sarà più facile decidere. L’anarchia dell’offerta fa male a tutti».

NEL 1357 un tale di nome de Bettin compare dinanzi ai giudici del Cadore per testimoniare che il bosco appena fuori Santo Stefano di Cadore apparteneva alle famiglie che abitavano quel pezzo di valle. Dopo quasi 700 anni il bosco ora è di 90 persone, i discendenti di quelle famiglie, tutti riuniti sotto la cosiddetta Regola di Costalissoio. «La scorsa settimana abbiamo indetto una sollecitazione privata per il legno degli alberi schiantati», racconta il presidente, Valerio de Bettin. «Si è presentato un solo acquirente e ha offerto molto meno di 30 euro. Ovviamente abbiamo rifiutato». L’anno scorso nel Cadore il legno di abete rosso si vendeva a 150 euro a metro cubo. «Il prezzo si è quanto meno dimezzato», ammette con una certa malinconia un altro regoliere di Costalissoio, Francesco de Bettin (e sono tre), presidente di Dba group, una società di ingegneria che ha messo a punto un piano per il riutilizzo del legname: «Si è creata una massa biologica immane: c’è materiale buono e materiale meno buono. Nel giro di tre anni sarà comunque inutilizzabile. Se invece per miracolo venisse tutto immesso nel mercato, il prezzo crollerebbe. L’unica soluzione sono le centrali a biomasse, un investimento che resterebbe anche quando, smaltita l’emergenza, si tornerà finalmente alla normalità».

LA PANDA 4 per 4 s’arrampica agile su per i tornanti che s’avvitano verso il Passo Rolle. Al mio fianco Paolo Kovatsch guida con una mano sola, il gomito poggiato sul finestrino aperto, mentre il sole tiepido di fine novembre rischiara la Val di Fiemme. Ci siamo lasciati alle spalle Predazzo, i prati punteggiati di malghe con le finestre sbarrate. Ora cominciano i boschi, o quel che ne rimane. La mano di un dio capriccioso e brutale è passata sui monti che incorniciano la strada, spianando ogni cosa. Gli alberi sono gambe all’aria, sdraiati tutti per il medesimo verso, ingarbugliati in una matassa di tronchi e fronde sempreverdi. Le squadre dei forestali guidati da Kovatsch continuano a rimuovere, accatastare, esboscare. Ma con l’inverno dovranno fermarsi. Due milioni e mezzo di tonnellate di legno resteranno lì, in attesa a questo punto che un compatto strato di neve le seppellisca fino alla prossima primavera.

SIAMO NEL BOSCO dei violini, abete rosso della migliore qualità, tronchi purissimi dagli anelli sottili e costanti. Ma dei quattromila metri cubi prelevati ogni anno, solo 40 sono di legno armonico. Il prezzo in questo caso lievita fino a sfiorare i 1000 euro. «La leggenda racconta che Stradivari in persona venisse qui da Cremona per selezionare gli abeti migliori. Non so quanto ci sia di vero», ammette il responsabile tecnico dell’ente foreste. «Sta di fatto che molti violini, di Guarneri o dello stesso Stradivari, sono fatti col legno di queste valli, lo dimostrano le analisi del Dna».

Foto di Antonio Faccilongo Foto di Antonio Faccilongo

IN TRENTINO non esistono regole, ma proprietà e Comuni si spartiscono l’immenso patrimonio naturale. E poi c’è la Magnifica Comunità della Val di Fiemme. Da queste parti è un’istituzione, simbolo di indipendenza fin da quando, nel 1111, strappò al principe vescovo Gebardo una concessione. Quella che ancora oggi attribuisce ai “fuochi”, cioè alle famiglie, la proprietà dei boschi. «La Magnifica possiede 11 mila ettari di boschi e a oggi contiamo 200 mila metri cubi di danni, ma potrebbero essere molti di più», mi spiega, spritz alla mano, il segretario Carlo Betta, che incontro in un bar di Cavalese. «Le 8 ditte locali che lavorano abitualmente con noi sono state dirottate sugli esboschi. Inoltre abbiamo incaricato una società svizzera, impossibile fare tutto da soli». Per quanto più di un operatore del settore storca il naso, non si può fare a meno di imprese straniere, spesso più potenti ed attrezzate. «Guardi qui», sorride Betta mostrando una copia de l’Adige di qualche giorno fa: «Azienda forestale ricerca contatti sia di privati che di enti per acquisto tronchi, cippato o boschi interi da ripulire». Firmato Rz Austria. Segue numero di telefono.

CHIAMO. «I prezzi che si facevano prima del 29 ottobre dobbiamo scordarceli. Oggi l’eventuale acquirente non paga più di 50 euro a metro cubo, tutto compreso. La verità è che presto il proprietario del bosco dovrà pagare per pulire. Invece che una ricchezza, ha un debito sulle spalle». L’accento di chi mi risponde non ha nulla di tedesco. «Sono di Firenze, da 35 anni nel settore, praticamente sono nato su un tronco», puntualizza Alfonso Massaro, responsabile vendite per l’Italia dell’impresa austriaca. «La mia azienda sta solo sorvegliando il mercato, vorremmo evitare speculazioni. Ciò che è accaduto è una sciagura per l’intera filiera. Anche per la Rz, che tra le altre cose produce pellet ed energia da biomassa. Tutta questa improvvisa abbondanza non fa bene a nessuno, neppure a noi».

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