questo non lo scriva - intervista classica
15 giugno 2018

Carmen Consoli: «Le case chiuse vanno riaperte, l’ipocrisia non è mai salutare»

La cantantessa vive a Catania con la madre e il figlio Carlo, avuto con la fecondazione assistita (e che ha voluto farsi battezzare). Con un concerto di beneficenza ha dato una casa-famiglia (Namasté) a giovani con disabilità mentali. Gli uomini ideali? «Gentili, leggeri, non competitivi». Come l’amato padre, che le ha insegnato (anche) a suonare

Carmen Consoli sul palco di piazza del Duomo a Catania, dove ha organizzato un concerto di beneficenza per la onlus Namasté, nata nel 2000 per accogliere e assistere ragazzi affetti da disabilità mentali

SIAMO SEDUTI A UN CAFFÈ della bellissima piazza Bellini di Catania, tra l’omonimo teatro neobarocco e la fascistissima Casa del mutilato. Carmen Consoli è con le sue amiche. Intorno, alberi di jacaranda in fiore sembrano fuochi d’artificio che virano al viola porpora l’aria. Passano dei cosplayer, ragazzi travestiti da personaggi dei fumetti, e Carmen ci mostra delle foto nel suo cellulare dove raccoglie i tipi strani di Catania: «Qui ci travestiamo naturalmente». Scherza con il cameriere sulla granita minnulata (alla mandorla), sul gender gap dell’arancino (arancino o arancina?) e su come lo mangiano i palermitani.

POI, AL TELEFONO ARRIVA LA BUONA NOVELLA: i ragazzi seguiti dalla onlus Namasté, affetti da disturbi mentali (autismo, schizofrenia), avranno una casa. Non saranno abbandonati a se stessi, grazie ai soldi del concerto di venerdì sera, organizzato dalla cantantessa (e del suo vulcanico agente storico, Francesco Barbaro, della Otr live): 10mila paganti hanno cantato e ballato con Carmen e i suoi amici di sempre, da Elisa a Silvestri, passando per Gazzè, Bersani, Mario Venuti, Marina Rei e Bandabardò. Prima dell’intervista, ci mostra la casa di famiglia, quella paterna, siciliana, mentre il ramo materno è veneto. Da un balconcino interno ci saluta il figlio Carlo, 5 anni. Canottiera e mutande, da ometto del Sud, più orsetto di peluche in spalla («si chiama Teddy»). Prima di chiedere alla madre di cucirgli sulla maglietta il simbolo zodiacale (cancro), cosa che lei fa con sveltezza, svela: «Ho sognato che eravamo con tutta la scuola al concerto». E in effetti c’erano tutti, anche la bambina che gli piace. Era tutto così bello, dunque, da sembrargli un sogno. La casa – dove Consoli vive e con la madre affitta stanze e gestisce l’etichetta discografica Narciso – è piena di cimeli, libri, foto e altri indizi di fantasmi. Ci mostra la pergamena monarchica del titolo di Cavaliere del bisnonno Giuseppe Cardillo, accanto a quella ricevuta da Carmen (Cavallerizza) da Giorgio Napolitano (e controfirmata da Berlusconi). In sala: pianoforte, chitarre e spartiti, tra cui A modo tuo di Elisa. Nello studiolo, dove ci farà una lezioncina sulle triadi armoniche, ci mostra la sua prima chitarra e la Fender Jaguar Shell Pink: te la mette al collo e dice «fatti un giro», come fosse un’auto. La voce di Consoli, qui come sul palco, è dolce e vischiosa, un filo di miele elettrico che varia di intensità a seconda del tono e della lingua, italiana o siciliana.

Ieri ha cantato Mandami una cartolina, dedicata a suo padre, scomparso nel 2009. Nel giardino di casa ha un ulivo piantato con lui: è un’assenza molto presente.

«Mio padre ha sempre seguito la mia carriera con orgoglio. Era agronomo, ma sognava di fare musica. Era un professore di musica, mi insegnò la teoria musicale a 5 anni. Mi correggeva le armonie e i testi, mi aiutava a trovare le parole più giuste per le rime. In A’ finestra, c’è il suo siciliano aulico. In Mandaci una cartolina ci sono sue frasi, come “Gli inciuci e le buttane in preda all’ormone, a noi ci piace assai la (Consoli alza il tono, parla in siciliano e traccia un quadrato in aria, ndr) televisione, proprio l’oggetto, dico, esposto in salone”. Era la sua ironia, leggera. Me l’ha ricordata la canzone Giudizi universali di Samuele Bersani, che ha un linguaggio maschile: “Si può star bene senza complicare il pane”. Vedi? La praticità poetica di voi uomini».

Una metafora lavorativa, semplice: è più maschile?
«Sì, il pane è semplice, la ricetta non va complicata. Gli uomini usano metafore semplici, figurative. Una donna avrebbe detto “si può star bene senza abbandonarsi alle illusioni”. La stessa cosa, in maniera diversa».

Dal primo uomo della sua vita, papà Giuseppe, al nuovo uomo della sua vita, Carlo.
«Manco ti voglio dire la pagella di mio figlio (tira fuori l’iPhone tutta orgogliosa, ndr), solo l’incipit: “Bambino sereno ed estroverso, ben inserito nel gruppo classe all’interno del quale ha stretto rapporti positivi con i compagni privilegiando il piccolo gruppo”. Carlo è un dono meraviglioso, ricevuto grazie alla famiglia che ci sta attorno, mia madre soprattutto, nonna Rosa, poi le amiche-zie e gli zii... Max Gazzè l’altro giorno è andato a prenderlo a scuola, Carlo lo chiama Maz Che Gazzeb, arabeggiante. Adesso con Carlo stiamo progettando una capanna sull’albero, in campagna; a lui faccio credere di piantare un chiodo, il resto lo faccio io con il carpentiere. Mi piace il fai-da-te, ognuno ha i suoi sfoghi».

Com’è maturata la scelta di avere un figlio da single con la fecondazione assistita?
«Premessa: un figlio è meglio farlo con un marito ed è meglio dare a un bambino una famiglia, anche omogenitoriale, anche se io sono per la famiglia tradizionale. Ma ero single, a 38 anni, un’età biologica avanzata, mi trovavo sola con mia madre, dopo la morte di papà; a Natale, alle Maldive con lei, pensavo alle case, le terre ereditate: eravamo sole, va allargata la famiglia, penso. Per fare un figlio avrei potuto trovare un uomo più giovane di me, un fan, un toy boy, con la motilità degli spermatozoi alta, facendomi mettere incinta dal poveretto, e ripetere lo schema di tante famiglie. Ma non volevo illudere nessuno, né dare a mio figlio una famiglia che si sarebbe sfasciata. Mi sono informata, ho letto studi su ragazzi ormai maggiorenni nati con la fecondazione assistita da genitori single: con il giusto amore, e i punti di riferimento, crescono come ragazzi di famiglie etero cosiddette normali. Andai allora a Londra, dove è possibile fare la fecondazione assistita con il non anonimato del donatore: Carlo potrà sapere chi è il padre, se vorrà. è già molto autonomo nelle scelte».

Carmen Consoli nel cortile della sua casa paterna di Catania, dove ha piantato un ulivo con il padre, scomparso nel 2009 Carmen Consoli nel cortile della sua casa paterna di Catania, dove ha piantato un ulivo con il padre, scomparso nel 2009

In che senso?
«Un giorno viene e fa “Senti, mamma, ti devo fare un discorso”, “Dimmi amore”, “Io credo in Gesù e mi vorrei battezzare”, “Va bene. E cos’è il battesimo?” e lui “Quello che toglie il peccato originale” e io “No, amore, diciamo che ti pulisce l’anima e ti predisponi al bene...”. Qualcuno l’aveva indottrinato. Chi? Mia madre? La signora Sara delle pulizie? Alla scuola materna c’era chi diceva che lui ammischiava il peccato originale ai compagnetti. Capito? Allora l’abbiamo dovuto vaccinare contro il peccato originale! Ora non ce l’ha più. Lui ha un’immagine sana di Gesù, ha deciso, l’abbiamo fatto. Il prete parlava tanto, allora Carlo ha urlato “Amen”!»

Fare la madre single è una scelta egoistica?
«Il desiderio materno, un atto egoistico... Va bene. Ma se hai un figlio non ci penseresti due volte a dare la tua vita! Non so quanto possa essere egoista una madre. Quindi: dare la vita non ha niente a che fare con l’egoismo. Non esisti più, vivi solo per lui. Devi saperlo. In Inghilterra il governo ti mette uno psichiatra che stabilisce se tu, madre single o in coppia etero o omo, sei idonea. Ti chiedono se lo fai come antidoto alla solitudine, se è compatibile con il tuo lavoro... Non vanno bene le donne troppo in carriera. Anche fare l’artista li frenava, con me, a chi lo lasci? Ma poi hanno capito che avevo persone fidate come punti di riferimento e non volevo fare una copia di me, non era narcisismo».

In Italia la fecondazione assistita ha molte limitazioni.
«È un percorso molto delicato. Non puoi arrivarci con la superficialità nostra. Prendiamo i vaccini: io sono pro vaccini, ma tra mettere l’obbligo senza informazione lasciando spazio ai trucchi per eluderli, come in Sicilia, e fare una seria campagna informativa come ha fatto Luca Zaia in Veneto, meglio la seconda. Ripeto: sono pro vaccini, ma le emergenze sanitarie sono altre, qui in Sicilia. Mio padre c’è morto, mancava la macchina della dialisi, è arrivata dopo 3 giorni, troppo tardi. Anche l’eutanasia sarebbe un diritto civile, ma in Italia, senza professionisti che ti accompagnano, rischieremmo che tanti depressi si ucciderebbero; servirebbe un grande lavoro sulla motivazione e la celebrazione della vita. A noi mancano le basi sociali e culturali, oggi il livello vitale è bassissimo, siamo insultati dai nostri stessi governanti: a noi siciliani dicono che siamo parassiti se votiamo i grillini; e lo dico da donna di sinistra che ha votato il Pd. Bisogna riscoprire i mezzi culturali, come educazione, informazione e cultura, per far funzionare la demos-crazia, altrimenti il popolo diventa plebe. La differenza è sottile».

Suona un po’ aristocratico.
«Non è aristocrazia. Coglimi bene. Non sono classista, ho fatto l’Istituto tecnico. E c’è un pregiudizio verso gli istituti tecnico-commerciali. Alcuni sono difficili. Ragioniera è tosta, l’Industriale ha una matematica impressionate. Alla maturità feci un tema storico: “Da Weimar al Terzo Reich”, basandomi sul bifrontismo tedesco attraverso Lutero. Studiato a ragioneria, eh. Signori miei, Quasimodo aveva fatto il Tecnico! Io non ho avuto problemi con il test per Lettere. Il problema è che l’operaio con la terza media ieri aveva una sua consapevolezza, grazie a partiti e sindacati. Oggi no».

Le custodie delle chitarre di Carmen Consoli Le custodie delle chitarre di Carmen Consoli

La Rete ha reinventato servizi e corpi sociali. Le piace?
«Non mi piace chi favorisce la maleducazione culturale. Una volta gli ignoranti non fiatavano, oggi tutti sanno tutto, spiegano e non ascoltano. Tutti Wikipedia sono! Tutti specialisti! Poi, per dire, non ci sono più medici generici. Tu mo’ riderai, ma io vado ancora dalla mia pediatra, che è medico generico. Lei sa capire ciò che succede al mio corpo».

I social sono pieni di parole di burro e identità re-inventate, storie vanagloriose. Il narcisismo si è massificato?
«Io non ci sono sui social. Odio WhatsApp, con le frecce lì, l’orario, tu ci sei, hai letto e non rispondi. Si passa la vita a chiarire cose: perché non rispondi? Perché non mi ami?»

Lei in Amore di plastica cantava le dis-illusioni sentimentali. Oggi con le app di incontri gli amori di plastica imperversano. Lei ha mai illuso?
«Sì, da giovane sono stata un po’ monella. Avevo i miei piani B di sicurezza. Ti piace uno, non sai come andrà, ti coltivi quello di riserva. Sui 15/16 anni ho fatto anche dispetti, fidanzandomi con qualcuno per far ingelosire. Poi nella sua sofferenza mi sono resa conto che non ero leale e non era dignitoso. Questa è maleducazione sentimentale, lo sono stata molto. La slealtà nei sentimenti, la mancanza di rispetto è brutta. Però a volte uno mente anche a se stesso. Io ho mentito anche a me stessa quando volevo farmi la famiglia e mi sono fidanzata ufficialmente con un medico, un chirurgo. Poi un bel giorno mi disse: “Non riesco a capire i testi delle tue canzoni, non hanno né capo ne coda”. E allora ciao!».

Alla fine di Parole di burro cantava “conquistami”. Oggi cosa la conquisterebbe di un uomo?
«La gentilezza. Mi piacciono cose d’altri tempi. Piccole sciocchezze: siamo a tavola e arriva la stessa pietanza che abbiamo ordinato? Mi piace se lui fa “Prego, prima tu”. O arriva il conto, lui finge di andare in bagno e va a pagare (l’amica romana dice “voi siciliani questa cosa ce l’avete”, ribatte Consoli: “Anche tuo fratello ce l’ha, ed è romano).

Ha un’idea vintage di uomo. Oggi è d’obbligo la parità.
«A me piacciono gli uomini sicuri di essere uomini, che hanno quella cosa che ti fa sentire protetta. Anche la vostra ingenuità mi protegge, noi siamo più iene, voi a certi pensieri laterali non ci arrivate. è un bene, ci insegnate la leggerezza. Come nel testo di Emma Dante letto al concerto ieri: oltre le nuvole c’è il sole, ricorda il ragazzo. Non avete questa contorsione delle mestruazioni, che una volta al mese fanno girare gli ormoni. Voi sdrammatizate in momenti in cui succederebbe l’inferno. Le dici ok, hai ragione, pensi che è scema tanto poi ci ripensa, poi la prendi a freddo».

E cosa non sopporta in un uomo?
«La competizione con la sua donna. Mi piacerebbe l’uomo che va oltre il suo orgoglio, è incoraggiante. Ma niente: la donna per cultura aspetta a casa l’uomo che va in guerra».

Penelope?
«No, unné chidda ca sfascia a tela e la rifà. Parlo di donne lavoratrici. Se tutti e due vanno in guerra, lavorano, il maschio culturalmente non è abituato ad aspettare la donna».

Dovremmo essere sia tradizionali sia moderni?
«Mio padre era uomo d’altri tempi, ma sapeva aspettare, non temeva di essere superato. Lo fa anche il marito di Lidia (una delle amiche presenti, ndr). Enzo è semplicemente un direttore di banca, e gode dei successi di lei, che è una grande imprenditrice. E la protegge. Quando è morto il papà di Lidia, Enzo ha chiamato prima me, per vedere come proteggerla. Lei aveva troppo dolore, per un po’ gli affari li ha seguiti lui. è lo zio a Carlo, gli insegna a farsi la barba con la panna e la pipì in piedi. O masculo la fa in piedi. Non ce lo posso insegnare io. Cose da uomini».

A proposito di cose da uomini. La Lega di Salvini ha proposto di riaprire le case chiuse.
«Sarebbe sul piano sanitario meglio. San Berillo, dove vivo, è un quartiere storico di Catania di prostitute e travestiti, con i loro usi e costumi: il mercoledì hanno un messa con un rosario che recitano, bello, straziante. Le più grandi ancora si ricordano di mia nonna che affittava loro appartamenti, regalava dolci... Nella casa che io abiterò adesso c’era Lillo, travestito, bellissima, ricordo le risate di quando corse incontro a mio padre per la strada urlando “Beppe, Beppuccio, dammi nu baciu”. Il problema è che all’80% qui hanno epitate, HIV... Con i controlli obbligatori sarebbe meglio. è un lavoro che c’è da sempre, nasconderlo è ipocrita, poco igienico e favorisce la mafia, lo sfruttamento. Strano che venga dalla destra l’idea delle case chiuse. Ma sono le tematiche che fanno prendere voti. In Italia i buttani ti fanno prendere i voti».

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