Frequenze resistenti
29 marzo 2019

Tunisia: la voce spavalda delle radio

Otto anni dopo la rivoluzione, viaggio tra le emittenti locali che denunciano la corruzione, trasmettono musica e preghiere. Tra difficoltà (un conduttore guadagna 100 euro al mese) ed entusiasmo, le radio combattono per le aspirazioni (deluse) dei giovani tunisini

Tunisia: la voce spavalda delle radio

«LA RIVOLUZIONE COSTA, la rivoluzione è fatica. Tutti i giorni». A Sidi Bouzid il vento di febbraio spazza la statale mentre i tir carichi di carote e patate passano, sollevano la polvere e tirano dritto. La giornata di lavoro è appena iniziata. Abdel Waheb gira lento il cucchiaino nel caffè e prende tempo, che tanto di fretta non ce n’è. «Quando ho iniziato a lavorare in radio avevo 23 anni». Era il 2011. Pochi chilometri più in là Mohamed Bouazizi si era già dato fuoco davanti all’ufficio del governatore per una multa da 6 euro dando il via alla primavera tunisina. Waheb oggi ha 30 anni ed è uno dei conduttori di Radio Karama. « Karama in dialetto tunisino significa dignità», dice con un sorriso timido. Un paio di stanze, due computer e tre microfoni. A coprire i vetri, il rosso e il bianco della bandiera. Al mixer e in redazione, quattro ragazze, due hanno il velo e le altre due no. In studio si parla dei problemi di tutti i giorni. Il traffico, gli incidenti, la spazzatura che sommerge tutto e tutti. A Waheb non è servito un tesserino per capirlo. «Se vuoi che ti ascoltino devi dare loro voce». “Loro” sono i cittadini, giovani come lui che lavorano, sognano e faticano. A febbraio dell’anno scorso una fonte gli ha fatto una soffiata. «Si erano intascati i soldi che dovevano servire per costruire il centro per i disabili».

WAHEB SI È MESSO AL LAVORO. Ha controllato i documenti, ha fatto tutte le verifiche, poi ha preso il microfono ed è sceso in strada a fare le interviste. Due settimane prima di mandare in onda l’inchiesta. «E dopo la trasmissione i lavori per quel centro sono ripartiti». Waheb non riesce a mantenersi con il lavoro giornalistico. Non è sposato e non ha figli ma per arrivare a fine mese deve continuare a fare l’allevatore, come suo padre prima di lui. «In radio guadagno 350 dinari al mese (100 euro circa) ma spero che un giorno questo possa diventare il mio unico impiego». Sidi Bouzid, otto anni dopo la rivoluzione. In ottomila solo dall’autunno del 2017 hanno deciso di attraversare il Mediterraneo per raggiungere l’Italia e l’Europa. Pompe di benzina artigianali, garage improvvisati, che rivendono carburante di contrabbando dalla Libia, qualche locale semplice dove mangiare un boccone. Negli ultimi tre anni il dinaro si è svalutato del 40%, la disoccupazione giovanile è a 35 punti nonostante l’alto livello di istruzione.

A REGUEB, il sindaco Mohammed Saleh Nasudi sorride sornione. «All’inizio non rispondevo nemmeno al telefono ai giornalisti, ora li ascolto», spiega. «Il rischio è che i politici addomestichino le radio trasformandole in house organ dei comuni o dei governatorati, ma abbiamo notato grandi passi in avanti in questo senso», sottolinea Lara Panzani, responsabile del Maghreb per Cospe che con InJaz sostiene le radio comunitarie. A coordinare il progetto della Ong italiana è Maria D’Incà. «Abbiamo iniziato nel maggio 2018 subito dopo le elezioni municipali, lavorando con i partner locali e con il finanziamento della cooperazione svizzera». Obiettivo: sostenere la partecipazione dei cittadini alla vita municipale e promuovere il dialogo. «Oltre alla formazione tecnica abbiamo promosso una serie di sondaggi per comprendere quali sono le istanze che stanno più a cuore alla cittadinanza». E il risultato è che ora «i ragazzi entrano nella stanza del sindaco. Qualcosa di impensabile prima del 2011». Originario di Regueb è anche Mohamed Alahmadi, giornalista ed esperto di media. «Prima della rivoluzione avevo visto i giornalisti un paio di volte in vita mia e una era stata per la visita di Ben Ali in città», racconta. Poi le cose sono cambiate. «Nonostante le aperture, le radio comunitarie ufficialmente riconosciute sono solo nove in tutto il Paese». Il problema principale restano i costi (20 mila dinari, quasi 6mila euro, per i materiali; 18mila, ovvero oltre 5 mila euro, per la licenza annuale) e i bandi per le frequenze, perché «l’Haica ( l’organo costituzionale che regola il settore audiovisuale, ndr) non ha ancora fatto un nuovo bando per non danneggiare il mercato delle radio private». Sulla strada per Kasserine, verso il confine con l’Algeria, i posti di blocco aumentano. Ogni tanto sulla statale transitano i blindati delle special forces tunisine, con i soldati a volto coperto. Da qui - secondo le stime del Soufan Group - sono partiti tra i 3 e i 5mila uomini. Destinazione: Siria, Iraq, Libia. «La Tunisia è il Paese con il più alto numero di foreign fighters »: questo è il parere unanime degli esperti. Gli attentati di Sousse e del Bardo hanno messo in ginocchio il settore del turismo e nel 2015 sono scesi in campo anche gli americani.

IN AUTUNNO SI VOTA per le elezioni parlamentari e per le presidenziali. A preoccupare, ancora una volta, è la stabilità politica. «I due maggiori partiti che attualmente governano in coalizione, Ennahda e Nidaa Tounes, sono apertamente in rotta e, se nessuno dovesse raggiungere la maggioranza assoluta - cosa pressoché certa - sarebbero costretti a nuove alleanze o a governare forzatamente insieme per altri 5 anni. Ciò indebolirebbe l’efficacia delle riforme. A lungo andare, ciò può provocare più risentimento e rabbia, soprattutto tra i giovani», sottolinea Stefano Torelli, ricercatore associato dell’Ispi.

TRA LA POLVERE e il rumore degli spari in lontananza dal Djebel Chambi, il monte su cui si nascondo i jihadisti, lo vedi subito qual è il problema numero uno di Kasserine: il traffico. «Queste maledette strade e gli incidenti, con le code e la polizia che non arriva mai. Altro che il jihad, è questo che ti radicalizza», scherza un ragazzo mentre sorseggia un caffè al Cafe In che ha aperto i battenti da poco. Radio Cillium sta proprio di fronte alla caserma. Il nome è un omaggio alle radici romane di Kasserine, fondata da Vespasiano nell’80 a.C. Da un lato della strada i soldati con il volto coperto dai passamontagna, dall’altra una scaletta che si inerpica su al terzo piano. Seduto al mixer c’è Imed El Assali, 25 anni. Sta mandando in onda la khutba dell’imam, la predica della moschea. «Ma io preferisco lavorare sulla musica, il rap come quello di Drake ( famoso artista canadese di padre marocchino, ndr)». A Cillium lavorano 42 persone, nel 2014 da radio web si è trasformata in radio Fm. Lo staff giornalistico è capitanato da Sameh Gharshalli, 24 anni. «Quando mi hanno assunto ero una laureata in biologia disoccupata. Ho iniziato a seguire le interviste telefoniche e a sbobinare. Poi, un giorno, ho sentito che mancava una conduttrice e così ho alzato la mano». Oggi Gharshalli ha sotto di sé 9 persone. «Mi piace il mio lavoro: ho aiutato una bambina di 5 anni che soffriva di una rara malattia a farsi operare in Italia». Gharshalli guadagna 200 dinari al mese (60 euro circa) più una piccola percentuale che la radio le dà per gli straordinari. Sameh vive ancora con la famiglia, tre sorelle (tutte laureate), la mamma e il fratello. Il padre è morto tre anni fa e Sameh non può lasciare il suo posto al call center. «Prima di sposarmi voglio diventare una giornalista famosa», dice Sameh.

SULLA STRADA verso Jendouba i van carichi di donne che tornano dai campi si muovono veloci. Il punto di riferimento della comunità è Nacyb Allouchi, presidentessa dell’Association Rayhana pour Femmes de Jendouba e di Radio Rayhana. «Prima del 2013 qui non esistevano caffè misti o luoghi dove le donne potessero riunirsi», spiega. Oggi Casa Rayhana è aperta a tutte le donne della regione: casalinghe, lavoratrici, donne delle campagne. E lì, nelle stanze dai muri rossi e bianchi, tra riunioni e confronti, è nata anche l’idea di una radio femminile. «Inizialmente producevamo brevi podcast di 5 minuti su tematiche legate alla violenza verbale e fisica contro le donne», continua Allouchi, «poi abbiamo puntato sulla valorizzazione delle donne contadine, i loro prodotti e soprattutto le loro parole».

A KAIROUAN, IN DIREZIONE TUNISI, i van carichi di donne che tornano dai campi si muovono veloci. Il sole tramonta dolce sulla Moschea, meta di pellegrinaggio di tutto il mondo musulmano e centro salafita della regione. Una donna gira l’impasto della farina, il profumo del pane si diffonde tutto intorno. E torna in mente il sogno di una rivoluzione. E i versi del poeta Abu’l-Qasim AshShabbi quando scriveva: «Se un giorno il popolo vorrà vivere, il destino dovrà fargli strada».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
SEGUI 7 SU FACEBOOK

Leggi altri in ESTERI