mano libera
2 gennaio 2019

Tante truffe, stesso stile: i disonesti non cambiano mai

Uno scandalo finanziario scoppiato nella zona di Cesena nel 1958 ricorda le vicende dei truffatori odierni. Come Fabio Gaiatto, faccendiere di Pordenone, che di recente ha bidonato molti risparmiatori disillusi dalle banche

Tante truffe, stesso stile: i disonesti non cambiano mai

«Un monumento, anzi mille monumenti si innalzano in questa feconda e meravigliosa terra di Cesena al nome del commendatore Giovan Battista Giuffrè: sono i monumenti e i conventi, le chiese e gli asili, le case dell’Azione Cattolica e le sale di lettura, i teatri parrocchiali e i campi sportivi, le case degli operai e dei più umili lavoratori…». Sessantatré anni sono passati da quell’indimenticabile libriccino edito a Cesena per celebrare le «Opere dell’apostolato cattolico, edifici sacri, istituti religiosi e case per lavoratori sorti nella diocesi per la munificenza del comm. Giovan Battista Giuffrè». Opuscolo firmato da una moltitudine di frati e suore, dall’Abate dei Benedettini alla madre superiora delle cappuccine, e traboccante d’amore per il «Banchiere di Dio» che, come si sarebbe scoperto due anni dopo, truffò grazie al credito di cui godeva tra monsignori, parroci e badesse, migliaia di italiani. Uno scandalo enorme. «Presta e raddoppia», prometteva il commendator Giuffrè. E all’inizio, effettivamente, i primi investitori ricevettero davvero interessi altissimi (ricavati dai versamenti degli investitori successivi) al punto di avere la riconoscenza, come dicevamo, della diocesi cesenate: «Innanzi a questi monumenti vivi vi saranno sempre i fiori freschi! Fiori raccolti dai bimbi dei nostri asili in corsa nei campi! Fiori dei giovani dei nostri circoli strappati in audacia alle vette in gioiose escursioni alpine!». Finché scoppiò il bubbone.

Sessantatré anni. Per non dire del tempo passato dallo scandalo Ponzi, nel 1920, causato dall’inventore dello schema finanziario, l’italo-americano Carlo “Charles” Ponzi. O della scoperta della truffa colossale, partendo sempre dallo schema, di Bernard Madoff, il re di Wall Street capace di rastrellare 50 miliardi di dollari (ma c’è chi parla di 65…) con ripercussioni pesantissime in tutto il mondo.

Eppure, come dimostra l’ultimo caso nel mitico e ricco Nordest, c’è chi ancora ci casca. Come i clienti del faccendiere pordenonese Fabio Gaiatto che, prima dell’arresto, aveva convinto migliaia di cittadini (gente che magari non si fidava più degli istituti di credito dopo i casi della Popolare di Vicenza o di Veneto Banca) a investire in una fantomatica finanziaria fino a tirar su complessivamente, stando alle accuse, almeno 72 milioni di euro. Tra i bidonati, come ha raccontato il Gazzettino, c’era una varia umanità. Anche «un ex ufficiale della Marina che aveva dato 30 mila euro e si sta ancora leccando le ferite». Tutto come prima, tutto come sempre. A partire dal miraggio di interessi altissimi e, ovviamente, al riparo dal fisco. Unica differenza, stavolta, il coinvolgimento diretto di uomini della camorra legati ai Casalesi. Sette dei quali arrestati una settimana prima di Natale. E coinvolti, a quanto pare, nel «recupero crediti». In un intreccio perverso con professionisti veneti e friulani già visto qualche anno fa a Padova. Quando i giudici portarono a processo un gruppo di camorristi tra i quali spiccava ’o dottore Mario Crisci, camorrista con laurea e dominus della società Aspide srl. La cui deposizione davanti ai giudici fu terribile per ogni veneto per bene: «Abbiamo scelto di concentrare le nostre attività nel Nordest, e in particolare a Padova, perché qui il tessuto economico non è così onesto. Il margine di guadagno era buono, perché la gente non ha voglia di pagare le tasse (…) Avevamo la disponibilità di commercialisti e notai compiacenti…» Veneti. Utili proprio perché parlavano in veneto: «Al front office non potevamo certo metterci dei meridionali…».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
SEGUI 7 SU FACEBOOK