23 gennaio 2019 - 18:06

Jason Stanley e i 10 criteri per riconoscere una «politica fascista»: «Lo scopo è conquistare il potere»

Nel saggio «Noi contro loro. Come funziona il fascismo» (Solferino), il professore dell’università di Yale analizza i movimenti di estrema destra del XXI secolo: «Questi leader hanno davvero un’ossessione per l’immigrazione»

di Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington

Jason Stanley e i 10 criteri per riconoscere una «politica fascista»: «Lo scopo è conquistare il potere»
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Jason Stanley e i 10 criteri per riconoscere una «politica fascista»: «Lo scopo è conquistare il potere»

Lo scopo del «nuovo fascismo» non è la costruzione di un impero, ma la conquista del potere. È una lezione del passato che investe in modo massiccio il presente, in Europa come negli Stati Uniti. «Noi contro loro. Come funziona il fascismo» di Jason Stanley, in libreria dal 24 gennaio per Solferino, esplora questo nuovo fenomeno, analizzando i casi più controversi: l’Ungheria di Viktor Orbán, il caso polacco, la presidenza di Donald Trump. Stanley, filosofo del linguaggio ed epistemologo, è «Jacob Urowsky» Professor of Philosophy all’Università di Yale, negli Stati Uniti; la sua ricerca copre anche le scienze cognitive e la filosofia politica. Nel 2016 ha vinto il premio «Prose» assegnato dall’«Association of American Publishers». Stanley, 49 anni, è uno dei protagonisti del dibattito pubblico americano. Nel suo libro indica dieci criteri per riconoscere una «politica fascista», dalla mitizzazione del passato, alla propaganda fino al «vittismo».

Qual è il più diffuso nelle esperienze politiche di oggi?
«Direi il vittismo. Cioè l’idea di rappresentare un Paese, le “tradizioni” di una popolazione come minacciate da gravi insidie esterne, che possono essere la globalizzazione, l’immigrazione, il femminismo, i diritti degli omosessuali. Questa è una tendenza sempre più diffusa in Europa e negli Stati Uniti».

Lei fa riferimento a casi specifici. Li vuole ricordare? E ci sono degli aggiornamenti da fare, visto che l’attualità procede in modo tumultuoso...
«In Europa sicuramente Viktor Orbán in Ungheria, il partito Giustizia e libertà in Polonia, Heinz Christian Strache in Austria, Matteo Salvini in Italia, il Partito “Alternativa per la Germania”, Marine Le Pen in Francia, il gruppo della Brexit in Gran Bretagna, il movimento Vox in Andalusia».

La sua tesi è che tutti questi leader e formazioni ricorrano a tecniche di propaganda simili a quelle del fascismo e del nazionalsocialismo storici.
«Orbán è il caso più clamoroso: è riuscito a indicare un nuovo nemico, passando dal comunismo addirittura al bolscevismo. Sembra incredibile, ma è proprio così: nel 2018 il bolscevismo in Ungheria, ci rendiamo conto? E se si guarda all’Italia, basta dare un’occhiata ai post di Salvini su Instagram: si vedono le navi dei migranti, ma non c’è alcun senso di solidarietà. Questi leader hanno davvero un’ossessione per l’immigrazione».

La propaganda si rivolge a tutti i cittadini o è mirata su alcune fasce più sensibili, socialmente più vulnerabili?
«Nella logica fascista la propaganda deve essere indirizzata verso le fasce meno istruite della popolazione, per suscitare emozioni, ansie e paure. Evocare nemici esterni, appunto. Oppure indicare quali sono i nemici interni al Paese: le élite, l’establishment intellettuale, tutte persone che non capiscono i reali bisogni del popolo. Al contrario dei leader fascisti, che invece si sforzano di auto rappresentarsi come “persone comuni” e quindi in grado di comprendere e di proteggere anche i più deboli».

Da questo punto di vista un esempio classico di propaganda è la campagna contro la corruzione...
«Certo. È il modo migliore per segnare la differenza tra “loro”, le élite corrotte che detengono il potere, e “noi” popolo, vittima delle malversazioni. Da ultimo è uno dei temi che ha portato al potere il neo presidente del Brasile, Jair Bolsonaro. Ed è stato abbondantemente utilizzato da Donald Trump nella campagna del 2016. La cosa paradossale è che spesso chi conduce queste campagne contro la corruzione fa parte del gruppo più corrotto della società».

Veniamo al presidente americano.
«Trump adotta tattiche e strategie fasciste, a cominciare dal modo in cui ha messo l’immigrazione al centro della sua politica. La propaganda con cui cerca di far passare il Muro è un esempio evidente. Il presidente americano continua a evocare un’emergenza criminale collegata all’immigrazione, quando i dati mostrano che il tasso dei reati è più basso tra le persone che arrivano da fuori rispetto a quello registrato tra i cittadini americani».

Nel suo lavoro cita spesso Mein Kampf, il manifesto programmatico di Adolf Hitler e mette in rilievo come molte delle idee e delle tecniche lì suggerite siano applicate anche da Trump. Si potrebbe obiettare, però, che Trump non ha scritto Mein Kampf, ma al massimo L’arte di fare affari...
«Ah ah, è vero...Però la mia tesi è che non si debba per forza essere un antisemita o voler costruire un impero nazionalista per essere un fascista. Le politiche fasciste qui sono intese come strumenti per ottenere il potere. Il fascismo è una questione che riguarda la conquista e la gestione del potere».

Non c’entra l’ideologia?
«Ma l’ideologia del fascismo è il potere, fare tutto il possibile per ottenere il potere. E questo è esattamente ciò che ispira l’azione di Trump: conquistare e gestire il potere».

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