19 agosto 2018 - 21:09

«Baby», il caso dei Parioli in tv
«Cattiveria e romanticismo»

Il regista De Sica: niente moralismi nella serie (in autunno su Netflix) ispirata al giro di ragazzine che nel 2013 si prostituivano

di Valerio Cappelli

shadow

Zoomando sulla serie tv «Baby», in autunno su Netflix, liberamente ispirata alle ragazzine che nel 2013 si prostituivano ai Parioli, dopo una giornata sul set si possono tirare le fila così: non ci sono vittime, non si fa moralismo, i padri di famiglia, stimati professionisti, non sono orchi, le ragazze, prostituendosi, hanno fatto una loro libera scelta: estrema, sbagliata, ma è una libera scelta.

C’è una certa prudenza nel parlare del caso che ha originato il progetto e che ha portato a processi, condanne, patteggiamenti. Di sicuro non è una cronaca fedele di quello che è successo, dove è prevalsa «una realtà nichilista e una prospettiva giustizialista e gossippara», dice il regista Andrea De Sica. Ma hanno acquisito gli atti giudiziari, ascoltato le intercettazioni. Le vere Baby squillo vivono nelle case famiglia e non potevano essere coinvolte per motivi legali. L’amministratore delegato e co-fondatore di Netflix, Reed Hastings ne parla come di «uno degli appuntamenti più controversi e attesi della nuova stagione».

Andrea De Sica, 36 anni, nipote del grande Vittorio, dice che questa serie in sei puntate (quattro girate da lui, due da Anna Negri) ha due anime: «Cattiveria e romanticismo». Il tema principale è la ricerca dell’amore. Ma i protagonisti cercano l’oscuro per sentirsi vivi.

In questa serie gli adolescenti vengono raccontati da quasi loro coetanei. È stata scritta dal nuovo collettivo dei Grams, nato nel 2017 e formato da cinque giovani autori. Sono stati alfabetizzati dalla serie «Breaking Bad», si vedono come cinque spettatori che arrivano a una sintesi. Dicono che «l’obiettivo è di seguire la vita di alcuni adolescenti, il loro disperato bisogno di amare e di essere amati. Sono in cerca di relazioni autentiche in un ambiente sociale degradato»; raccontano che è «una storia di formazione attraverso la scoperta di lati segreti e nascosti della loro vita, dove gli adulti giocano a fare i bambini e i bambini giocano a fare gli adulti»; spiegano di avere seguito «il percorso psicologico di ragazzi che li porta a fare una scelta estrema, ma per avere relazioni umane autentiche». C’è anche il tema dell’amicizia femminile, poco trattato nei film. Le ragazze non sono «né femme fatali né angelicate».

Le protagoniste sono Chiara, un’atleta che ha genitori radical chic (la impersona Benedetta Porcaroli) e Ludovica (Alice Pagani). Poi ci sono Brando (Mirko Trovato), animo ribelle, il maschio alpha della situazione. Damiano (Riccardo Mandolini ) viene dalla periferia, ha una passione per skate e hip hop, che quando gli muore la madre va a vivere col padre, che si è risposato: lei è Claudia Pandolfi, l’altro volto è quello di Isabella Ferrari, che «deve imparare a fare la madre». «Un terzo degli attori — afferma De Sica — non aveva mai visto la macchina da presa, ma c’è la forza della freschezza, a partire dalla sceneggiatura. Una parte della vicenda è nelle mani degli attori, che hanno girato una Instagram story col linguaggio dei social. Non potevamo prescindere dalle logiche della nuova comunicazione dei ragazzi».

Ma i Parioli possono essere un tranello, così pieni di stereotipi nell’immaginario… «Sì, noi offriamo una visione laica e non dogmatica dei pariolini, questi ragazzi sono vicini a qualsiasi altro ragazzo».

Le pressioni familiari, i segreti condivisi. C’è la disattenzione degli adulti, c’è un mondo che gli adulti non vedono. E in questo viaggio nell’innocenza perduta si parla di prostituzione certo, ma anche di droga, di omosessualità, di bullismo, di lutto, di integrazione multietnica e di tutto quello che riguarda la crescita. «Baby» avrà una seconda serie.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT