20 ottobre 2018 - 20:53

Nino Frassica: altro che rottamazione i comici di oggi non fanno ridere

L’attore al cinema con «Uno di famiglia» nei panni di un cattivo boss della ‘ndrangheta:«Serie e film hanno esaltato troppo i mafiosi, meglio renderli ridicoli»

di Renato Franco

Nino Frassica: altro che rottamazione i comici di oggi non fanno ridere
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Nino Frassica cattivo. Possibile? Andare a vedere Uno di famiglia (al cinema dal 25 ottobre) per credere. Interpreta il capo «fammigghia» Peppino Serranò, «l’uomo a cui nessuno può dire di no», nel film di Alessio Maria Federici con Pietro Sermonti, Lucia Ocone e Sarah Felberbaum. «È un cattivo nel solco della commedia — spiega Frassica — per cui alla fine si trova in situazioni che lo rendono ridicolo. È anche un modo per prendere in giro la ’ndrangheta, come hanno fatto nei loro film sulla mafia Roberta Torre e Pif. Troppo spesso al cinema e in tv i mafiosi sembrano degli eroi, penso che ridicolizzandoli facciamo un buon servizio alla collettività». Nel film Sermonti salva la vita a suo figlio, tutti i Serranò si sentono in debito con lui e lo fanno diventare «uno di famiglia». «E per riconoscenza finisce che lo metto nei guai. I risvolti comici vengono fuori da lì, da situazioni che diventano buffe. Io recito come se fossi un vero cattivo, ho un ruolo veramente drammatico, ma se il contesto è grottesco, lo stesso protagonista ne viene travolto».

Più complicati i ruoli comici o drammatici?
«È sempre più difficile far ridere, ci vuole sempre qualcosa in più, un filo di follia».

Lei riesce a far ridere da 35 anni pur essendo cambiato tutto il mondo intorno. Come si rimane attuali?
«Sto sempre attento a quello che succede, la mia cifra surreale per certi versi ha un vantaggio: non ha bisogno di modernizzarsi. Guardo tutto con distacco e cerco di trasformare quello che vedo con il mio occhio “distorto”».

Un grandissimo successo, poi una fase meno brillante, quindi un ritorno al successo. Come lo spiega?
«C’è stato un periodo in cui ho fatto troppa tv, troppo varietà, e alla fine ti svaluti. Il boom della fiction, a partire da Don Matteo, mi ha fatto bene perché mi ha allontanato da quel tipo di tv. Poi con Chiambretti, Conti e Fazio sono tornato a casa mia, nel mio habitat».

Ora si alterna nel doppio registro: varietà con Fazio, attore per cinema e fiction. Cosa preferisce?
«Sono due cose diverse. Fare solo l’attore è più facile perché c’è chi pensa per te: a volte mi capita di andare sul set senza nemmeno sapere cosa devo fare. Il varietà è più difficile, sei attore e autore di te stesso: se arrivo a mani vuote, va in scena il vuoto».

Tv, radio, cinema: cosa sceglie?
«Nessun dubbio, la radio. Non potrei mai farne a meno, il Programmone che conduco su Radio2 è la mia vera palestra, un luogo dove imparo e sperimento, molte cose che arrivano dalla radio poi le sviluppo in tv».

C’è chi sostiene che in tv ci sono pochi spazi comici...
«Penso invece siano aumentati, c’è richiesta di comici, però bisogna trovarli bravi. Il comico deve sempre stupire, meravigliare, spiazzare».

A lei cosa la spiazza?
«Ho 67 anni, più diventiamo grandi e più conosciamo e sappiamo tutto. I giovani ridono più facilmente, conoscono meno cose e si accontentano, ridono per cose superate. La verità è che i giovani fanno comicità vecchia, mentre le novità arrivano dai vecchi. Per questo la rottamazione è sbagliata: sempre meglio un Baudo in forma a 80 anni che un dj di 20 anni».

A lei chi la fa ridere?
«Zalone è uno che si vedeva subito che era forte; Maccio Capatonda mi piace molto. Il Mago Forest è più moderno di tanti, eppure è vecchietto, così come Fiorello che ormai ha una certa età...».

Qualcosa di cui si pente?
«Ho fatto errori legati ai soldi, perché se sei ricco di tuo è facile poter scegliere. Invece ogni tanto ho accettato cose che magari non mi convincevano, ma siccome erano ben pagate le ho fatte».

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