19 marzo 2019 - 07:41

Aldo solista, satira contro il razzismo

«Scappo a casa» (400 sale), a Budapest per rimorchiare, lo derubano di tutto,
nel viaggio fantozziano per tornare a casa. «Racconto la nascita di una coscienza.
Il trio? Torna con un film».

di Valerio Cappelli

Aldo solista, satira contro il razzismo
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Si presenta umile, ed è sincero, prende dalla tasca un foglietto con le persone da ringraziare «che hanno creduto in me»; è come spaurito senza il gioco di squadra a tre. Dice che ha 60 anni «e forse non avrò più occasione di fare un altro film da solo. Avevo voglia di mettermi in primo piano». Orfano di Giovanni e Giacomo, nel suo primo assolo cinematografico Aldo Baglio è un meccanico che, armato di parrucchino e finto Rolex, va a Budapest per rimorchiare.

«Ci siamo presi un anno sabbatico, gireremo quest’estate»

Il trio comico si è preso «un anno sabbatico, è un modo per riflettere e non cadere in situazioni che non ci facevano più divertire. Giacomo sta facendo uno spettacolo teatrale, Giovanni ha scritto un libro. Il trio non è sciolto, come qualcuno ha detto. Ci ritroveremo quest’estate per il nostro nuovo film».

In Scappo a casa di Enrico Lando (dal 21 in 400 sale per Medusa) Aldo si ritrova senza documenti né cellulare, derubato anche dell’identità, scambiato per tunisino, lavora come uno schiavo per loschi individui, fra una poliziotta truffaldina slovena (Angela Finocchiaro) nel suo fantozziano viaggio di ritorno a casa. Sembra una satira sul razzismo nell’Europa di oggi, sovranista e nazionalista. Lui che spenti i riflettori è un anti-personaggio, si schermisce coprendosi con la coperta della semplicità: «È un tema troppo grande e delicato perché possa occuparmene degnamente, non è una storia sull’immigrazione ma su un uomo superficiale e il suo cambiamento, la nascita di una coscienza».

L’attore africano: «Il film è estremamente politico»

Però nella sua analisi il coprotagonista originario del Burkina Faso, Joe Jacky Ido («è la traduzione di Giovanni e Giacomo in inglese», scherza Aldo), si spinge in avanti: «Il film è estremamente politico, ma i problemi affrontati si concentrano sull’essere umano, ed è ciò che manca ai politici. La comicità umanizza la tematica». Alla fine Aldo abbandona la prudenza e l’autocensura e ammette: «Un po’ il tema del razzismo c’è, ma senza volerlo. E’ un film fatto col cuore». Nel viaggio verso casa, Aldo è con due neri (lei è Fatou N’Diaye): «Ognuno cerca di fregare l’altro, esiste un razzismo al contrario».

Aldo è un palermitano cresciuto al Nord, dove ha vissuto discriminazioni: «Quando mi chiamavano terrone mi scivolava addosso, anche perché a Milano c’erano più terroni che milanesi». Ma si ride nel film? Aldo parla di un suo «percorso interiore» e chissà se sarà una tantum: «Se le cose vanno bene ne faccio un altro, mi esprimo in modo diverso».

Battuite e canzoni «scorrette»

Battute politicamente scorrette, quando Aldo dice a un nero senza una gamba: «Il riso abbonda bella bocca degli storpi»; oppure «ci infestano con la negritudine». E i doppi sensi beceri della canzone che segna il debutto degli Oblivion al cinema: «Viva la fuga, siamo esterosessuali». Si è messo sulla scia di Checco Zalone? Aldo nega: «Non ci ho pensato, sennò farei i suoi incassi e sarei felicissimo».

In questo viaggio Aldo rotea gli occhi, urla e impreca con la sua gestualità larga che accompagnano la sua vena umoristica surreale. Ma qui è inutile cercare la comicità degli inizi del Trio: «Non c’è il meccanismo degli sketch, questa è una commedia che sdrammatizza temi drammatici». Giovanni e Giacomo hanno letto la sceneggiatura, «Mi hanno consigliato di tagliarla, cosa che ho fatto». Il film dura 92 minuti.

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