15 maggio 2018 - 22:39

Mancini c.t., Balotelli sventola già il tricolore:la promessa fatta a suo papà

Già martedì si è lui «autoconvocato» su Instagram aggiornando la biografia: non più solo «attaccante del Nizza» ma anche «dell’Italia», con tanto di bandierina

di Carlos Passerini

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Mario è cambiato, racconta chi gli sta vicino. Che, attenzione, è una cosa diversa dal sostenere che è maturato, cresciuto, divenuto adulto, come già molte altre volte in passato s’era detto, salvo poi alla prima balotellata accorgerci che in realtà non era così. «Perché Mario resta sempre Mario» spiega chi lo conosce davvero, chi gli sta vicino da sempre, chi gli vuole bene dai tempi in cui dopo l’allenamento — erano ancora gli anni del Lumezzane in serie C1 — scappava di nascosto al parcheggio dell’ipermercato di Concesio per giocare due contro due con i senegalesi che recuperano i carrelli della spesa, con la mamma Silvia che lo cercava per ore.

Eccessivo, ingenuo, vanitoso, maldestro, spesso inopportuno, spontaneo sempre: quello era e quello è rimasto anche ora che va per i 28. Martedì, per dire, proprio nelle ore in cui Mancini apriva pubblicamente a un suo ritorno in azzurro («probabilmente lo chiameremo») lui si autoconvocava su Instagram aggiornando la biografia: non più solo «attaccante del Nizza» ma anche «dell’Italia», con tanto di bandierina tricolore. Niente di grave, certo, specie rispetto a certi guai combinati nel passato, però la diplomazia è un’altra cosa. Ma con «Mario resta sempre Mario» s’intende esattamente questo. Sopra, un suo bel primo piano — sorridente — che somiglia parecchio a una risposta diretta alla questione postagli dal neo c.t., «adesso bisogna sentire lui e capire cosa vuol fare». Tornare in azzurro, semplice. La verità è che sente di doverlo a papà Franco, il suo genitore adottivo che non c’è più, andatosene tre anni fa: «Papà diceva che il momento in cui era davvero orgoglioso di me era quando mi vedeva con quella maglia».

È cambiato, Mario. Forse più maturo no, non almeno per come lo si può intendere in un’accezione classica del termine, ma diverso sì. Più consapevole, come calciatore ma anche come uomo. La scomparsa del babbo, ma anche la nascita nell’autunno scorso di Leon, il suo secondo figlio, infine i rapporti recuperati con i genitori naturali che di fatto lo abbandonarono da bambino: c’è stata molta vita per lui, in questi anni. È cambiato ad esempio anche il suo rapporto con l’esterno, col mondo vero. Un tempo mai si sarebbe sognato di polemizzare con un senatore leghista di colore, semplicemente perché non gli sarebbe interessato. Oggi invece si sente realmente pronto a quel ruolo da ambasciatore dell’antirazzismo che forse tutti noi gli abbiamo ritagliato addosso troppo presto, perché — allora — ci faceva comodo.

I due anni in Costa Azzurra, densissimi, sono stati la chiave di tutto. Lì è rinato come giocatore e, chissà, forse davvero anche come uomo. Di certo stavolta ha avuto ragione il suo agente Raiola: a Balotelli serviva un campionato di seconda fascia e un club magari non à la page ma che credesse in lui in maniera sincera, totale, esclusiva. E così è stato. Ha ripagato con 43 gol in 65 partite e un atteggiamento che nel complesso — perché qualche momento complicato c’è stato, «Mario resta Mario» — è stato sorprendentemente positivo e senza il quale, Mancini o non Mancini, non sarebbe a un passo dal ritorno in azzurro.

Vuole l’Italia, Mario. In tutti i sensi. La Nazionale, che riabbraccerà grazie alla fiducia dell’unico allenatore che malgrado liti epocali ha sempre creduto in lui all’Inter come al City, ma anche la serie A. Vorrebbe il Napoli, anche perché lì vive la prima figlia Pia, ma la destinazione più probabile è la Roma. L’ha ammesso Di Francesco: «L’ho cercato già ai tempi del Sassuolo, mi piace». Sembra faccia sul serio. Come Mario, ora.

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