14 luglio 2018 - 22:22

Francia-Croazia e il tifo: torna di moda la Nazionale plurale che piace tanto solo quando vince

La sinistra sostiene la squadra di Deschamps, i nazionalisti pronti a tifare contro

di Stefano Montefiori, corrispondente da Parigi

(Afp) (Afp)
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Ai Mondiali c’è sempre qualche bastian contrario con il vezzo di tifare contro la squadra del proprio Paese per snobismo o magari perché, nel caso della Nazionale italiana di qualche anno fa, «piena di juventini».

In Francia invece il punto è l’etnia dei giocatori. Per questo, accanto alla stragrande maggioranza di sostenitori dei Bleus, qualcuno oggi a Parigi, Lione o Nizza tiferà o fingerà di tifare Croazia. I «black», i giocatori neri, in squadra sono tanti e all’estrema destra c’è chi mugugna, richiamandosi a una lunga tradizione di politici e intellettuali, da Jean-Marie Le Pen a Alain Finkielkraut, che negli ultimi decenni hanno deriso l’Équipe de France (EDF) con il poco sofisticato argomento che di francese avrebbe solo il nome.

Mbappé, Pogba, Matuidi, Griezmann e compagni affrontano poi una squadra avversaria formata solo da giocatori bianchi. E Mandzukic, Rakitic, Modric e gli altri hanno quasi tutti cognomi che finiscono in «-ic», come prevede lo stereotipo dello slavo e di quell’Europa pre-immigrazione e sovranista oggi decantata da Trump e dai suoi amici al di qua dell’Atlantico.

La squadra più multietnica contro la squadra più omogenea: i calciatori diventano — loro malgrado — simboli delle società di appartenenza, e questo in Francia accade almeno dal 1998, quando la Nazionaleblack blanc beurconquistò la Coppa del Mondo giocata in casa. Da allora le vicende dei Bleus sono state caricate di un enorme significato politico, nel bene e nel male.

La vittoria del nero Thuram, del bianco Deschamps e dell’«arabo» Zidane servì al presidente gollista Chirac e al premier socialista Jospin per propagandare l’immagine di una società francese ricca, «plurale» come la gauche e per questo vincente.

Quel mito è stato sotterrato e rispolverato più volte, prova del rapporto di amore e odio che i francesi hanno verso la loro squadra. Ai Mondiali in Sudafrica nel 2010 per esempio la «EDF» esce al primo turno dopo litigi pubblici con l’allenatore e la scelta del troppo lussuoso albergo di Knysna. I campioni nati nelle banlieue vengono trattati come delinquentelli viziati e la ministra dello Sport Roselyne Bachelot parla di «boss immaturi che danno ordini a ragazzini impauriti». Poi ci sono state le esclusioni di Benzema e Ben Arfa, mai digerite da tanti francesi di origine maghrebina che vi hanno visto una discriminazione ai loro danni.

Il più lucido è Mbappé, che alla domanda di Le Monde — «la feriscono frasi come “ci sono troppi neri in Nazionale”?» — risponde così: «No, perché se vinciamo la Coppa nessuno lo dirà».

Alla fine tutto si riduce a questo. Se conquista la seconda stella, la squadra nel frattempo diventata black black blacko quasi verrà portata in trionfo da milioni di francesi in delirio. Se invece Mbappé fallisce, quelli che oggi preferiscono il modello croato si faranno sentire.

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