12 settembre 2018 - 13:05

Copyright: cosa cambia per editori, utenti e piattaforme con la nuova direttiva

La proposta è stata adottata con 438 voti a favore, 226 contrari e 39 astensioni

di Martina Pennisi

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Dopo lo stop di luglio, è arrivato il via libera di settembre: nel corso dell'assemblea plenaria di Strasburgo, il Parlamento europeo ha approvato la direttiva per il copyright. In seguito all'introduzione del regolamento per la privacy, in vigore da maggio, un nuovo ruggito Ue nell'arena digitale, dunque. Ieri hanno votato a favore 438 parlamentari. In 226 si sono detti contrari e 39 si sono astenuti. Sul tavolo c'erano gli emendamenti agli articoli più discussi e controversi: l'11, che interviene sul rapporto fra gli editori e le piattaforme che diffondono i loro contenuti o parte dei loro contenuti online. E il 13, relativo al riconoscimento automatico del materiale che viola il diritto d'autore. Adesso la norma passa nelle stanze dei negoziati con il Consiglio.

Innanzitutto, si parla di «prestatori di servizi di condivisione di contenuti online» che agiscono a fini commerciali. Quindi: realtà come Google, Facebook o YouTube attraverso le quali accediamo a «quantità rilevanti» di contenuti protetti dal diritto d'autore e che guadagnano grazie ai nostri clic. Wikipedia è esclusa, perché è gratis e non ha pubblicità. In quanto servizio open source lo è anche GitHub (quasi) di Microsoft, che temeva di finire nel calderone con il suo archivio di codici. Fuori, inoltre, startup e piccole imprese, così da non appesantirle in fase di sviluppo. I colossi coinvolti dovranno accordarsi con editori ed etichette e creatori di video, canzoni o notizie e pagare loro i diritti delle opere. L'obbligo vale anche per le anteprime degli articoli mostrate da aggregatori come Google News: l'uso di titolo e descrizione andrà pagato. Nel caso dei contenuti caricati dagli utenti e in cui non ci sia un accordo, invece, le piattaforme devono adottare misure «adeguate e proporzionate» per bloccare la diffusione del materiale protetto senza impattare sul resto. Meno netto il riferimento a filtri automatizzati ma, spiega l'avvocato Ernesto Belisario, YouTube e simili «dovranno controllare quanto viene caricato. Rimane la responsabilità di chi mette online il contenuto, ma viene introdotto un onere di collaborazione per la piattaforma, anche attraverso meccanismi di reclamo».

Come ricorda il testo, in Europa le industrie culturali e creative impiegano a tempo pieno oltre 12 milioni di lavoratori e generano circa 509 miliardi di euro di valore aggiunto per il Pil. E la maggior parte di queste cifre ha nella tutela del diritto d'autore il suo elemento centrale. Con la nuova direttiva, messa sul tavolo per aggiornare quella del 2001, gli editori di contenuti acquisiscono un potere di negoziazione maggiore con le piattaforme; quantomeno quelli più grandi, mentre i piccoli sono preoccupati. Questo non risolve, comunque, i problemi legati all'individuazione di modelli di business sostenibili e remunerativi per la diffusione dei contenuti online. Nel caso dell'industria musicale le intese sembrano dare i primi frutti: realtà come Spotify o Apple Music, che si basano sull'acquisizione dei diritti per consentire l'ascolto gratuito e supportato dalla pubblicità o su abbonamento, hanno contribuito alla crescita del 17,5 per cento dei ricavi digitali — derivanti nel 70 per cento dei casi dallo streaming — generati in Europa dal mercato discografico (fonte: Ifpi). La direttiva guarda soprattutto alla distribuzione gratis con messaggi pubblicitari, e ancora l'industria musicale con il dialogo con Facebook per coprire anche i contenuti generati dagli utenti come le storie di Instagram è un esempio interessante in prospettiva.

Sarà la reazione degli attori in gioco a modificare — eventualmente — le abitudini di navigazione delle persone. Nel 2014, ad esempio, in seguito all'introduzione di un provvedimento sul rispetto del diritto d’autore, Google ha deciso di chiudere in Spagna il suo aggregatore di notizie Google News. Difficile immaginare una reazione del genere a livello europeo. Di sicuro c’è, invece, che una equa distribuzione dei ricavi generati in Rete può aiutare gli editori e i creatori di contenuti a monetizzare il loro lavoro adeguatamente e a innescare un circolo virtuoso che aumenti la qualità e l’affidabilità anche di quanto circola su social network e motori di ricerca. Per quello che riguarda l’eventuale rimozione di un contenuto caricato da un utente, se la norma dovesse venire approvata e così recepita anche nel nostro Paese — dove il vice premier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha manifestato la sua netta contrarietà al risultato del voto di ieri: «Il Parlamento Europeo ha introdotto la censura dei contenuti degli utenti su Internet. Per me è inammissibile» — si prevedono meccanismi di reclamo efficaci e rapidi. In realtà, ci si scontra così con l'annoso problema della gestione immediata delle controversie, quando magari la decisione iniziale è automatica.

Gli altrettanto attuali discorsi che coinvolgono altri tipi di contenuti illeciti o inneggianti al terrorismo viaggiano su binario differente. Differente ma parallelo, soprattutto se si pensa alla richiesta di individuazione e rimozione del materiale in seno alla direttiva copyright. Pure negli altri casi da una parte ci sono colossi della Rete, che comunicano percentuali bulgare nell'individuazione grazie all'intelligenza artificiale di filmati violenti o estremisti (l'81 per cento degli 8,2 milioni su cui è intervenuto YouTube nel primo trimestre del 2018, ad esempio) anche prima che abbiano ottenuto una sola visualizzazione (il 76 per cento dei 6,7 milioni). Dall'altra c'è, sempre, l'Europa pronta a intervenire anche su questo fronte perché ancora insoddisfatta, soprattutto per i tempi di intervento e intenzionata ad applicare multe fino al 4 per cento del fatturato nel caso di errori sistematici. In mezzo — ancora — le preoccupazioni sulla capacità del mix algoritmi-curatori umani di garantire cancellazioni rapide non lesive della libertà di espressione. Questa nuova mossa, se dovesse concretizzarsi, e quella sul copyright fanno parte della più ampia volontà di responsabilizzare giuridicamente i colossi per quanto ospitano e contribuiscono a diffondere.

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