7 febbraio 2019 - 13:09

Così Whatsapp studia i “cattivi” per rimuovere 2 milioni di account al mese

In un documento dell’applicazione di messaggistica le strategie per bloccare chi tenta di usare la piattaforma per diffondere fake news o spam

di Martina Pennisi

Così Whatsapp studia i “cattivi” per rimuovere 2 milioni di account al mese
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L’apprendimento automatico di Whatsapp crea dei modelli di comportamento basati su chi trasgredisce sulla piattaforma per imparare a reagire più tempestivamente. Contrassegna, quindi, i cattivi come tali per espellere i loro simili.

È quanto emerge da un documento dall’applicazione di messaggistica sugli sforzi per prevenire e bloccare la circolazione di fake news, spam e altri abusi. L’app di proprietà di Facebook ha colto l’occasione delle imminenti elezioni in India per fare il punto sulla sua strategia. In una conferenza a Nuova Delhi, Whatsapp ha provato a rassicurare il governo di Narendra Modi, dopo che le accuse di aver agevolato la circolazione di notizie false l’avevano esposta a una possibile scure legislativa non dissimile da quella che pende sulla sua testa in Europa: l’obbligo di intervento sui contenuti in 24 ore.

In India, dove pure Amazon sta facendo i conti (al ribasso) con le stringenti politiche sull’e-commerce, Whatsapp ha 200 milioni di utenti, circa un quarto di quelli che si recheranno alle urne. In tutto il mondo, l’iconcina verde dichiara di aver rimosso 6 milioni di account che avevano tentato di diffondere contenuti in modo automatizzato o massivo, provando a raggiungere molti utenti con lo stesso messaggio. Il 75 cento per dei trasgressori non era stato ancora segnalato da alcun utente e il 20 per cento è stato fermato all’atto della registrazione grazie all’analisi — sempre automatizzata — di Ip o informazioni relative all’operatore telefonico. La Sim, cui - a differenza di altre piattaforme, Facebook compreso — fanno capo tutti gli iscritti è infatti la prima freccia all’arco dell’app: fornisce informazioni di contesto utili a inquadrare un soggetto, da quelle geografiche ai tentativi tecnologici di forzare la piattaforma.

Chi analizza le informazioni? Le macchine. Come? In modo immediato o incrociandole con altri dati relativi al nostro comportamento. Se chi si iscrive prova subito a mandare centinaia di messaggi in pochi secondi o aggiunge migliaia di utenti a decine di gruppi viene cancellato subito. Il dubbio sorge anche nel caso in cui qualcuno si rivolga a persone che non hanno il suo numero in rubrica. Oppure, se fa parte di una rete con comportamenti simili e potenzialmente fraudolenti nello stesso lasso di tempo. Whatsapp dà la possibilità a chi è stato rimosso di fare un reclamo.

Come detto, chi si comporta male e viene bloccato diventa un modello per allenare la macchina a riconoscere altri attori malevoli. Esiste, quindi, una classificazione evidentemente simile a quella già attiva su Facebook e raccontata dal Washington Post lo scorso agosto, poi precisata e ridimensionata dal colosso. Interrogato dal Corriere, il gruppo assicura che non vengono incrociati i comportamenti sulle diverse applicazioni (Facebook, Messenger, Instagram e Whatsapp) per valutare l’attendibilità dell’utente. Utile inoltre sottolineare come nel caso di Whatsapp non si stia parlando in alcun modo del contenuto dei messaggi fake o spam o propagandistici, anche perché gli scambi sono criptati, ma solo dei tentativi di sfruttare la popolarità della piattaforma per raggiungere rapidamente un gran numero di persone. Altre misure adottate dall’app per contrastare la disinformazione sono il numero limitato di persone o gruppi cui si può girare un contenuto inoltrato e la segnalazione grafica che il contenuto stesso è stato inoltrato.

Restano, nel caso delle cancellazioni automatiche, le perplessità sul ruolo assunto dalle macchine e sulla sua importanza. Possono essere loro a decidere chi può e chi non può usare l’app? D’altra parte, i colossi non hanno altro modo per intervenire su un’immensa mole di dati e scambi con la tempestività richiesta dalle autorità di tutto il mondo. Il dilemma, insomma, è sempre lo stesso.

Nella foto Mark Zuckerberg sul palco di F8, a San José, California, maggio 2018. Credito Martina Pennisi/Corriere della Sera

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