18 marzo 2019 - 16:51

La Nuova Zelanda reagisce alla strage e pensa di togliere la pubblicità a Facebook e Google

Due organizzazioni nazionali pensano alle modalità con cui banner pubblicitari e contenuti violenti vengono divulgati alla stessa maniera online, senza distinzione

di Antonino Caffo

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L'antefatto

Non sono bastati gli 1,5 milioni di video rimossi da Facebook nelle ultime ore, tutti riguardanti l’attentato di Christchurch in Nuova Zelanda. E le misure adottate da Youtube. La viralità con cui gli iscritti hanno condiviso, postato dal proprio profilo e, in un certo senso, «sponsorizzato» il filmato dell’attentatore in diretta, ha creato parecchi malumori all’interno delle istituzioni neozelandesi.

«Chi gestisce siti può indirizzare, in pochi secondi, pubblicità pertinenti ad ogni utente, e volete dire che un colosso come Facebook non può impedire che un singolo video venga diffuso a milioni di persone?» si chiede giustamente l'Association of New Zealand Advertisers che, insieme al Commercial Communications Council, ha chiesto a Zuckerberg di attivarsi concretamente per rafforzare le modalità di controllo dei contenuti condivisi online.

In particolar modo, quello che le due associazioni nazionali si chiedono è quanto convenga, a livello etico, continuare a pubblicizzare prodotti e servizi su una piattaforma che spesso mostra tutti i suoi limiti nello gestire un pubblico così ampio. Secondo un portavoce di Wellington, ASB Bank, una delle più grandi banche della Nuova Zelanda, insieme a varie unità della Commonwealth Bank australiana, sta rivalutando gli investimenti social fatti sinora. Il rischio è che le strategie di sponsorizzazione programmate per il futuro vengano annullate.

ASB, Lotto NZ, Burger King e Spark hanno inoltre messo in piedi un ripensamento delle logiche di marketing per fermare le rispettive pubblicità anche sui servizi di Google, YouTube in primis. Altre organizzazioni neozelandesi, tra cui Kiwibank, ANZ e BNZ, non godono più di «advertising» online, avendo sospeso le operazioni di sponsorship. Non è casuale che la maggior parte dei soggetti attivi in tal senso siano gli istituti bancari e di credito, che da sempre sfruttano i social media come punto di contatto preferito verso i nuovi consumatori. Insomma, il segnale è forte e per nulla temporaneo.

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