15 aprile 2018 - 17:16

Perché Spotify ha abbassato il volume delle canzoni

Il servizio streaming ha silenziosamente messo fine sulla piattaforma alla «Loudness War», la guerra del volume, cioè la tendenza ad aumentare i livelli audio nella musica che molti esperti sostengono diminuisca però la qualità del suono

di Michela Rovelli

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Impegnata a prepararsi per la quotazione in Borsa e la creazione del suo primo (ancora misterioso) dispositivo fisico, Spotify negli ultimi mesi ha anche portato a termine quello che molti potrebbero considerare un cambiamento in positivo. Ha abbassato il volume delle canzoni che vengono riprodotte sulla sua piattaforma. Se a primo «ascolto», non sembra un grande miglioramento, in realtà l’operazione va a favore dei suoi utenti. E il motivo è che, grazie a questa modifica, i brani non soffrono più, da qualche mese, dei risultati della cosiddetta «Loudness War».

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L’indice che determina come percepiamo i suoni

Il cambiamento risale a fine maggio del 2017. Ma quasi nessuno dei 159 milioni di utenti attivi (o dei 71 abbonati paganti) se n’è accorto. Il livello del suono degli oltre 30 milioni di brani disponibili sulla piattaforma è stato abbassato. Spiega il sito Motherboard che un gruppo di appassionati ha fatto delle misurazioni attraverso il software Dynameter. Prendendo a campione alcune tracce dalle playlist più ascoltate — come la Global Top 50, quella del genere musicale soul o metal — hanno confermato i loro sospetti: Spotify è stato silenziato. Ovvero: ha diminuito di tre punti — da -11 a -14 — le frequenze secondo l’indice LUFS (acronimo di Loudness units relative to Full scale), un’unità di misura diversa (e più precisa) dei Decibel perché basata sul nostro orecchio: definisce infatti la percezione umana del suono, più alta per le fasce medie dello spettro di frequenze. Il LUFS è stato creato dalla European Broadcasting Union nel 2011.

La guerra del volume che distorce le canzoni

Perché Spotify ha deciso di abbassare il volume delle canzoni? Il motivo è uscire dal circolo vizioso della «Loudness War», appunto, la guerra del volume, la tendenza ad alzare sempre di più i livelli audio delle singole tracce di cui sono composte le canzoni per parificare il volume in ogni momento, perché siano più impattanti nelle orecchie di chi le ascolta. Non c’è spazio per il silenzio, soltanto per musica intensa e «rumorosa». Quindi tutte le ampiezze delle onde vengono «pareggiate», cioè i picchi vengono portati alla stessa altezza. Una tecnica che viene chiamata compressione. Un fenomeno che a detta di molti esperti peggiora la qualità del suono (anche se a noi ci sembra di sentir meglio, in realtà viene distorto). E quindi anche la nostra esperienza. Per capire cosa si intende basta fare un esempio che tutti abbiamo presente: la televisione. Quando sta andando in onda un film o un programma televisivo c’è un certo volume. Mentre quando inizia la pubblicità, la percezione del suono viene «esagerata».

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La creazione di uno standard

Ed è proprio questa abitudine — diffusasi nel mondo digitale televisivo — che ha fatto nascere uno standard, chiamato «EBU-R128». Si parlava di piccolo schermo, dunque, e non di piattaforme streaming. Ma anche qui, i produttori discografici ci marciano. Perché è comune credenza che il suono «forte» rimanga più impressa. E quindi si distingue nel marasma di tracce che ascoltiamo ogni giorno.

Come i rivali

Spotify insomma sta andando contro a questo fenomeno della «War of Loudness» e, non importa quali modifiche facciano in post produzione, le tracce che si ascolteranno in streaming non suoneranno a un volume più alto di -14 LUFS. Interrogata da Motherboard, la società ha risposto: «Testiamo continuamente nuove funzionalità per migliorare l’esperienza degli utenti. I recenti cambiamenti sono parte degli aspetti che stiamo valutando». La piattaforma si è così allineata alle avversarie: YouTube è impostata su -13 LUFS e Apple Music scende fino a -16 LUFS. Un cambiamento fatto per i suoi utenti. Ma di cui probabilmente neanche loro si accorgeranno. Anche se le orecchie (inconsciamente) ringraziano.

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